non è sempre facile

E’ capitato e capiterà a tutti almeno una volta nella vita di cercare guai per buttarcisi a testa prima. Alcol, droga, sesso, persone ambigue e altro ancora. L’elenco è lungo e qualsiasi realtà supera la fantasia. Se queste sono le strade che talvolta si intraprendono, ci sono anche alcune osservazioni collaterali relative alle possibili mappe di queste strade.

Una è il ruolo della fortuna nell’esito degli eventi. Uno beve gin di pessima qualità fino a vomitare l’anima sua e dei suoi antenati all’angolo della strada poi stramazza addormentato su una panchina. L’amico beve due birre, si mette alla guida e in una strada buia investe un malcapitato. Il primo parlerà con gli amici del mal di testa effetto della notte brava mentre il secondo parlerà con l’avvocato dei prossimi anni prigione effetto del tasso alcolemico di poco superiore al consentito. Il primo sarà una persona immacolata, il secondo una persona riprovevole, additata come esempio negativo da non seguire o al massimo da compatire.

Un secondo aspetto è la libertà senza la quale mancano responsabilità, dignità, speranza e solidarietà. Certo che la libertà fa una paura fottuta, soprattutto quando vediamo l’amico, l’amica, il prossimo che incrociamo per strada, lanciarsi a fare spenti nella notte per vedere se è così facile morire. E magari accendiamo un faro sperando che illumini le buche e il fosso al margine del buio. Ma la libertà ci lascia spesso soli nelle nostre scelte, altrimenti non le riconosceremmo come appartenenti a noi stessi. E nella solitudine il fascio di luce può accecare e far sbandare.

Non vorrei si dimenticasse che alcuni mezzi distruttivi sono preferibili ad altri. Un drogato è considerato peggiore del conoscente che tutte le sere sbavazza da solo un bottiglia di vodka. Il sesso è sempre scivoloso, ma varia a seconda del genere e dell’orientamento. Uomo etero è meglio di uomo transessuale; donna omosessuale è peggiore di gruppo di ragazzi violenti anche se donna omosessuale suscita più curiosità di uomo omosessuale. Perciò alcune persone hanno il privilegio di potersi ficcare nel letto di un qualunque qualsiasi e uscirne indenni o ammirate altre sono giudicate per aver espresso un desiderio inconsueto. Su tutti grava il pensiero normalizzante delle cose giuste e sbagliate da fare e desiderare, sulla giusta misura del sesso che non deve essere mai superata.

Poi ci sono i moventi, le ragioni per cui si preferisce o si cerca la distruzione: per piacere, per dispetto, per disperazione, per noia. Ma anche qui ci sono gerarchie rassicuranti che indicano l’accettabilità o meno dei moventi. Distruggersi per amore è riprovevole ma è peggio distruggersi per noia. La vendetta per ragioni di carriera è orribile ma quella per un tradimento d’amore lo è meno. Una donna perde la sua dignità, sempre. L’uomo al massimo fa esperienza.

A ciascuno è capitato o capiterà di trovarsi in una strada colma di guai e magari di averla anche imboccata volontariamente. Purtroppo ad alcuni è capitato e capiterà di incontrare sulla strada chi ne approfitta per dare sfogo alla propria rabbia, senza paura e senza pietà. E che anzi si ritiene libero perché si libera della pietà e della paura. Queste sono le persone da temere perché stanno dimenticando il loro essere umani.

violenza o conoscenza

Le frasi “Così impara” o “Cosi imparano” seguono gli o si accompagnano agli atti di violenza o umiliazioni. Le parole vanno prese sul serio, sopratutto quando affiancate alla violenza.

Due riflessioni rapide:

  1. la violenza viene nascosta dalla frase “così impara”;
  2. la violenza viene giustificata dalla frase “così impara”.

In questo caso la relazione fra occultamento e giustificazione è più contorta che in altri casi, giacché la giustificazione spesso è considerata un momento importante del processo di chiarificazione, di messa in luce. Anche quando la giustificazione è inconsistente, è comunque un inizio. Ma qui la cosa pare molto diversa.

Non dimentichiamo che per secoli la giustizia, umana e divina, è stata sancita e mantenuta con la violenza, del singolo, della società o dell’istituzione. Quindi la violenza è stata usata per “insegnare” a non “commettere atti impuri”, quali che fossero. E quanto più grave la violazione, tanto più severa e devastante la violenza giustificatrice.

Per secoli ci è stato detto, e hanno tentato di insegnarci, che la forza violenta è giusta ed è giusto che abbia la meglio su altre considerazioni; che l’umiliato ha solo da imparare la lezione che gli è stata data; che quella lezione lo ha formato come nessuno altro atto mai ha fatto o potrebbe fare.

Ma vorrei aggiungere un paio di pensieri a ruota libera.

Un’ipotesi: se qualcuno vuole sottrarsi dall’umiliazione del subire la violenza, allora vuole perseverare nell’errore. E perciò è meritevole di ulteriori umiliazioni e violenze.

Note a margine. Da ragazzo ho subito violenza da coetanei e l’umiliazione non mi ha reso migliore. Inoltre, conosco persone che da giovani sono state umiliate anche sulla base di pregiudizi, la forma originaria di certa violenza soprattutto istituzionale; molte hanno avuto la vita distrutta da quell’ umiliazione, poche sono riuscite a salvarsi. Tutte ricordano con rabbia e dolore il momento dell’umiliazione.

Ricorrere all’umiliazione peggiora e priva di autorevolezza anche chi umilia non solo chi subisce.

sulle fronde di facebook

E come possiamo noi postare
Mentre uomini cadono dagli aerei
E le donne saranno lapidate sulle piazze
O picchiate nelle case.

La leggerezza delle nostre libertà
Oggi pesa come lo sguardo
Di chi è stato tradito, da noi.

Ora che l’uscita degli USA dall’Afghanistan è completata, pubblico queste poche righe che ho scritto ad agosto. Non per altro ma solo perché penso alle donne, ai bambini, alle bambine e agli uomini rimasti.

Kabul oggi

Il fallimento di una generazione di politici, di militari, di organizzazioni non governative, di finanziatori, di imprenditori.

Per i prossimi anni non potremo essere altro che testimoni di violenza, uccisioni, distruzione. L’unica speranza è che gli afgani trovino il coraggio e la forza di liberarsi degli assassini che ora governano perché nessuno è stato capace di liberarsi dei corrotti che li hanno preceduti spianando la strada.

Per il resto è una vergogna. E essere almeno testimoni della morte e delle torture, sapendo che non è stato fatto nulla di efficace per evitarle.

violenza, Manduria

Qualche tempo fa a Manduria è emerso che un gruppo di ragazzi ha picchiato, insultato e vessato un uomo psicologicamente fragile e inoltre isolato della comunità. I ragazzi hanno condiviso i filmati delle violenze che ora costituiscono prove per l’accusa. Pare che da tempo i ragazzi picchiassero e sbeffeggiassero l’uomo e che molti a Manduria sapessero.

Suppongo che si sia tutti d’accordo a ritenere che i comportamenti di questi ragazzi sono riprovevoli ma che non devono essere trattati con moralismo e disgusto di maniera. Mi ripugnano anche filippiche sulla violenza dei tempi moderni o sulle famiglie irresponsabili o sui giovani senza valori. E’ fin troppo facile ricordare i miti di Caino e Abele, della guerra di Troia. Neanche voglio entrare nel merito giudiziario, se e come i ragazzi saranno giudicati e condannati poiché non ho la necessaria competenza giudiziaria e legale.

Mi interessa trovare parole e concetti paralleli all’ordine delle cose così da rendere la responsabilità morale più salda. Adotto il motto di Spinoza: Non deridere, non compiangere, non disprezzare, ma comprendere le azioni umane.

I filmati ci fanno assistere a un evento arcaico e allo stesso quasi metafisico nella sua essenzialità. Forse solo Kubrick si è avvicinato con Arancia meccanica a un’ambientazione e azioni di questo tipo. Il filmato accessibile alla pagina della Stampa ci fa vedere uttto ciò che c’è da vedere.

I ragazzi ridono e saltellano. L’uomo grida per avere aiuto. Nessuno interviene. Qualcuno riprende. Osservare e ricordare perché è così che accade.

quale allegria, da lucio dalla

Lucio Dalla con questa canzone ha messo in musica uno dei sentimenti più difficili da provare: la consapevolezza della violenza presente nei rapporti umani, d’amore, d’amicizia, di lavoro, di parentela.

Non ne spiega l’origine ma descrivendone la fenomenologia quotidiana accenna a un’ombra che lentamente scarnifica anche i sentimenti più delicati. La canzone apre su un rapporto d’amore, forse ormai consumato dai gesti quotidiani, che cerca un senso nel perdonarsi dopo essersi feriti. Poi c’è la giornata scandita inesorabilmente dalla monotonia. Poi lo spettacolo del cantante su un palco di fronte a un pubblico anonimo. Poi il convincersi che tutto stia nell’arrivare in salute al gran finale. Poi i ringraziamenti a un certo Andrea, per i pasti malmangiati, i sonni derubati. Infine l’essere stati accoltellati nel buio di un vicolo per quindici anni la sera di Natale.

Non è la ripetitività in sé a essere il problema. Forse tutto sta in quel sacrificio primordiale compiuto la notte di Natale, quando nell’illusione di un rinnovamento della vita, il più debole, e fiducioso, viene ucciso permettendo così ad altri di vivere. Nella ripetizione dell’accoltellamento sacrificale si cerca un senso della vita.

Credo che la grandezza di Dalla risieda nell’aver cantato le nostre emozioni di sacrificati esposti con le nostre debolezze, le nostre stranezze e la nostra tenace capacità di amare, alla violenza degli altri. Vengono in mente altre canzoni: Anna che voleva morire, Marco che voleva andarsene lontano, il nato il 4 marzo, il ballerino che balla senza posa. E poi quelle due donne esagerate e affascinanti con cui apparve nel video “Attenti al lupo” oppure Caruso che canta per amore e cantando muore. Oppure Lucio Dalla stesso che si mostrò nella sua fragilità quando ormai avanti negli anni si fece impiantare i capelli a nascondere una calvizie più che decennale. Sentimenti e pensieri scandalosi al confine fra il ridicolo e il sublime, fra il comico e il tragico, fra l’ironico e l’appassionato che portano il sigillo dell’amore incondizionato per il vivere, non ostante il dolore del sacrificio.

Solo chi ha scoperto la difformità può essere cosi.

realtà e demoni

Un uomo ha sparato con un fucile ad aria compressa e colpito una bambina di neanche 1 anno che per effetto del proiettile rischia la paralisi. Indipendentemente dai sentimenti esiste un rapporto di causa ed effetto fra il dito dell’uomo, il proiettile partito, la vita distrutta della bambina. E purtroppo in giudizio si deve tenete conto dei rapporti di causa ed effetto non delle intenzioni.

Chissà cosa pensava quando ha comprato l’arma; chissà cosa vedevano i suoi occhi quando ha schiacciato il grilletto; chissà dove era finita la realtà quando si è appostato al balcone. Chissà in quanto tempo ha deciso di sparare.

Cartesio fece un’ipotesi radicale e paradossale: e se tutto ciò che vedo, sento, tocco e penso non fosse altro che l’inganno di un genio maligno? Come fare a trovare qualcosa di reale e vero? Cartesio poi tira in ballo Dio. Ma io per me, abituato ad aspri limoni che riescono a fossi ombrosi, preferisco coltivare il sentire, sviluppare la conoscenza sperimentale, provare la faticosa e umana compassione, ipotizzare le conseguenze più odiose e dolorose dei miei atti per attenuare quel senso di onnipotenza sognante dell’irrealtà in cui persone e fatti non hanno origine, prosecuzione e si piegano al ritmo della mia volontà.

scene di ordinaria violenza quotidiana

Città: Venezia.
Luogo: pensilina di attesa dei vaporetti.
Giorno e ora: 17 giugno 2017, ore 11.30 circa.
Persone coinvolte: madre, figlio e anziano signore, forse amico di famiglia.

Madre: “E’ stato promosso!”

Anziano: “E’ stato anche promosso! Scommetto con tutti 6!” (Correzione del 21/6/2017: non “anche” ma “addirittura”.

Bambino, arrabbiato con le braccia incrociate: “Ho preso dei sette, otto e un nove!”

Dopo qualche minuto, il bambino ha smesso di esprimersi a parole e si rivolge all’anziano solo a gesti, con un codice che mette in difficoltà l’anziano.

Mie riflessioni: perché umiliare un bambino? Perché la madre non lo ha difeso?

La violenza subita può essere una delle regioni per cui si sviluppa un codice comunicativo proprio che isola anziché mettere in relazione?

Comunque, i bambini sanno rispondere.

isis, scelte errate e uomini

Ho letto questo libro ormai da qualche mese. Stile a metà fra il giornalistico e la narrazione con aspirazioni storiche sostenuta da una grande mole di documenti e testimonianze. Racconta con ordine e da diversi punti di vista eventi, biografie, interviste e mappe. Insomma un lavoro imponente scritto e organizzato bene. L’autore, Joby Warrick ha meritatamente vinto il suo secondo Pulitzer.

Bandiere nere chiarisce alcune cose degli USA: la miopia, le menzogne dell’amministrazione di George W. Bush Jr. L’inerzia pavida di Obama. Ma su tutto e tutti regna sovrana la difficoltà, o incapacità, a interpretare il Medio Oriente da parte di servizi segreti e politici. Molte dei funzionari, ambasciatori, militari che avevano vissuto e lavorato in Medio Oriente hanno cercato di far cambiare alcune scelte dell’Amministrazione, frutto spesso di una certa intransigenza, dei politici. Ma inutilmente.

Allo stesso tempo, il libro descrive i regimi locali, che si sono retti per decenni su violenze e arbitrii inauditi. Le biografie dei terroristi hanno alcuni tratti ricorrenti, fra tutti la permanenza per qualche anno in prigioni, costruite nel deserto, custodite da aguzzini sadici. Il riferimento religioso intransigente, radicale è divenuto per costoro la ragione per cui sono sopravvissuti alle prigioni salvando la propria dignità di esseri umani. In molti terroristi, poi, ci sono tratti di psicopatia e di delinquenza.

Il libro si conclude con un ritratto del Re di Giordania, che lo descrive come colui che può far uscire l’area dalla violenza del terrorismo.

litigare, anche violentemente 

Poi ci sono quelle volte in cui ci sono due persone, anche preparate e competenti, ma così simili nel modo di accostarsi ai problemi ed entrambe così drasticamente decisioniste che corrono verso l’unico esito possibile: il reciproco rimprovero perché l’altro è proprio ciò che io stesso sono. Ovvero si litiga e ci si fa la guerra quando due persone occupano lo stesso spazio politico, concreto o psicologico.

Non è la diversità il problema ma quando scopro che l’altro è nel o minaccia il mio spazio.