anno scolastico nuovo, un altro

Anno scolastico 2021/2022. Studenti, docenti, personale ATA, dirigenza, funzioni strumentali, docenti nuovi e docenti trasferiti, giudizi sospesi e promozioni, esami di idoneità e libri di testo, DAD, DDI, tablet e matite, libri, test.

Poi gli amori fra i banchi, le amicizie, gli odi, i professori che anche loro hanno delle preferenze e sbagliano, gli studenti che capiscono bene i professori, la dislessia, le competenze o le conoscenze, i voti che non sono un giudizio sulla persona, le persone che giudicano i voti.

Poi le aule piccole, grandi, fredde, calde, con le porte, in sicurezza, i banchi con professore i bidelli non puliscono, le finestre in sicurezza.

Poi i bus, le auto, i motorini, le biciclette, i monopattini, gli skate da lasciare ai bidelli, il treno, i ritardi giustificati, non giustificati, i pianti nel corridoio, gli attacchi di panico, le urla durante l’intervallo, le domande senza risposta, le risposte date sottovoce.

Poi i genitori, mio figlio lo conosco bene, la famiglia, per carità non critico ma, le firme false, le telefonate, il covid19 che è stata una tragedia, il teatro a scuola, i progetti, ai miei tempi si faceva scuola mica progetti che non portano a nulla.

Poi il voto di condotta, la media, nel primo quadrimestre mi tengo sempre stretto, un’insufficienza non è la fine del mondo, è una lode meritata, quel professore è severo ma giusto, le programmate, i voti non servono, i voti servono, fuori dalla scuola la vita è diversa, la vita qui non è diversa da quella fuori dalla scuola, i fallimenti insegnano, non bisogna scoraggiarsi, il professore non mi ha detto il voto, possiamo vedere i compiti, l’archivio.

Poi i bagni puliti, le scale d’emergenza, i turni, la biblioteca, nessuno ci va, il burn out, i viaggi d’istruzione, formazione o didattica, l’ambulanza, i preposti, le palestre, i palloni, il gioco di squadra.

Poi i dipartimenti, i consigli di classe, dei docenti, il consiglio d’istituto, il DSGA, la determina, il verbale, l’approvazione del verbale, voglio che sia messo a verbale, quando finisce.

Poi l’alternanza scuola lavoro, il PCTO, il PTOF, la qualità, l’atto d’indirizzo, l’OCSE, l’INVALSI, l’ufficio scolastico, le commissioni, l’aggiornamento.

scuola che cambia: e le superiori?

Ho acquistato un periodico nuovo, Vita, che, come riporta nell’intestazione, è un portale di Sostenibilità sociale, politica ed economica. Ne ignoravo l’esistenza e dopo un passaggio sul sito, metto sito e rivista cartacea in quarantena: c’è un lungo articolo su Agamben e sul passaggio dalla biopolitica alla biosicurezza che mi lascia perplesso. Ma non è di questo che voglio scrivere perché è altro ciò che mi dà da pensare.

Il numero di settembre è dedicato alla scuola con tanto di titolo in copertina: “Una nuova scuola si può fare”. Condividendo la speranza acquisto la rivista. All’argomento “nuova scuola” sono dedicate 52 pagine su 98. Ben più della metà. Molti gli articoli e i temi toccati ma mi pare che qualcosa non torni, a parte un certo tono stucchevole che attraversa le descrizioni dei fantastici risvolti delle classi aperte, senza muri, con tecnologie avanzate, della collaborazione fra territorio, scuola, famiglie, associazioni, reti e altro ancora; a parte il sapore celebrativo legato alla totale mancanza di senso critico che almeno esponga un limite delle sperimentazioni o dei corsi innovativi. A parte queste e altre cose che posso sopportare nella misura in cui si tratta di fare breccia in abitudini, immagini e pregiudizi consolidati nei secoli per cui ora non è importante soffermarsi sugli aspetti problematici del cambiamento ma cambiare. Inoltre, mi dico, ben venga la diffusione di buone pratiche del mondo della scuola, altrimenti sommerso da luoghi comuni, semplificazioni sconcertanti e politiche superficiali. Dopo tutto questo resta un problema cui non so dare una risposta plausibile.

Dove sono le scuole superiori?

Nelle 52 pagine leggo interviste a dirigenti di scuole primarie, dell’infanzia, delle scuole medie. Ma dove sono i docenti e le esperienze delle scuole superiori? Possibile che non ci sia nulla di equivalente nelle scuole superiori? La mancanza dipende dai docenti delle superiori che “non sperimentano la scuola senza muri” oppure dai giornalisti che si soffermano alla fase della formazione dei ragazzi affidata al ciclo della scuola italiana con maggior riconoscimenti internazionali? Oppure i diversi ordini di scuola hanno mitologie proprie: le scuole elementari sono la curiosità fiduciosa dell’infanzia; le scuole superiori l’inquietudine colma di nostalgia di quasi uomini e donne in vista della “vita vera”.

Non so dare una risposta. Durante decenni di insegnamento nella scuola superiore, ho incontrato docenti conservatori, innovativi, rassegnati, spaventati, preparati, impreparati e altro ancora. E forse la mappa delle competenze e degli atteggiamenti nella scuola primaria non è così radicalmente diversa. Per me la maggior parte del lavoro in aula è consistito nella spiegazione e nella lettura di libri di testo, relativamente costosi, a studenti che legano la propria autostima al voto. Ho organizzato attività alternative (per esempio durante il lockdown), “fuori le mura della scuola” e ho avuto delle conferme, per esempio che gli studenti misconoscono la scrittura condivisa perché sono stati addestrati per anni a suddividere studio e lavoro di gruppo in ricerche individuali poi messe una dopo l’altra; che l’impegno delle persone non cambia a seconda della metodologia didattica, innovativa o tradizionale; che a proposte interessanti per me non necessariamente seguono risposte appassionate degli studenti. In sintesi, che fare previsioni e formulare leggi è sempre rischioso.

Detto tutto ciò, una domanda continua a frullarmi per il capo:

Dove sono i docenti che sperimentano nuove strade per le scuole superiori?

ciclo scolastico

È una questione di calendario molto semplice: a settembre iniziano le scuole. È cosa che ciclicamente suscita curiosità.

Tutta roba prevista e nota.

Eppure ogni anno i docenti si chiedono come saranno gli studenti, rivedono gli argomenti e poi si chiedono se, come, quando e con quali risultati.

Cioè ogni anno i docenti ci provano, ci credono. Cioè ogni anno ricominciare non è solo una questione di calendario, di tempo che scandisce i suoi impegni. Non si ricomincia tutti gli anni ma a ogni anno si inizia come se fosse la prima volta.

generazioni

L’altro giorno inizio in una classe una serie di lezioni sul tema dello stato: Platone, Aristotele e giù di lì. Per introdurre l’argomento faccio un brainstorming a partire da una frase che ho scritto alla lavagna: “cosa rende migliore un governo?”

Chiedo a tutti uno per uno e ne emergono le seguenti aree:

  • organizzazione;
  • onestà;
  • multe progressive per reddito;
  • ordine.

Alla fine chiedo: “Ma avete paura della libertà?”

La classe resta in silenzio. Poi uno dichiara “Si” un altro chiede “Quale tipo di libertà?”

Per la mia generazione la parola chiave era libertà.

The Who, Slip kid. No easy way to be free.

poi un professore si stanca anche

Si stanca delle griglie di valutazione; della campanella che suona sempre sul più bello; del fantasma del “programma” che incombe come un avvoltoio sulle speranze di comprensione; di idee che non staranno mai nelle ore d’insegnamento; di voti che non dicono nulla se non la difficoltà di comprendere ciò che si è studiato; dei colleghi con cui non si riesce a parlare; della solitudine autoreferenziale in cui si contorce; del linguaggio povero con cui lotta; della mancanza di feed back; delle leggi che manco fai tempo a capirle che le hanno già cambiate; delle leggi scritte in base a chissà quali accordi; dell’ossessione tutta burocratica e paranoica di documentare ogni cosa perché “è sempre possibile un ricorso”.

Certo che un professore si stanca e vorrebbe portare la classe a fare un giro in montagna per parlare delle idee, dei bei libri che ha letto, delle cose belle e brutte che ha visto; guardare le montagne e sentire l’aria fresca entrare nei polmoni. Oppure ascoltare assieme un disco di quelli che gli sono nella mente e nel cuore da anni e che però non collimano con quella roba del programma e dei voti.

Certo che un professore si stanca e quasi vorrebbe perdere tempo con la classe per discorrere di cose oziose ma che poi sono le sole davvero importanti.

Certo che a un professore succedono queste cose, sopratutto se insegna filosofia.

wiki di storia

Ci riprovo con la didattica digitale. Questa volta con storia.

Studenti e studentesse di una terza hanno raccolto in una scheda delle informazioni sulla propria città di residenza: nome, anno di fondazione, fotografie dei resti medioevali. La scheda deve contenere anche almeno un dato personale: da quando sono residenti nella città.

Inizialmente avevo pensato di far fare una timeline online ma non ho trovato dei servizi online che mi soddisfacessero. Allora sono atterrato sulla piattaforma MOODLE della scuola. La classe scriverà un wiki cronologico delle città aggiungendo foto, informazioni, link e citazioni a mano a mano che procederemo con il programma. L’idea è mettere in relazione i grandi processi storici con la realtà vicina e allo stesso tempo abituare al lavoro di gruppo. Il massimo sarebbe che il progetto andasse avanti per tutto il triennio. Vediamo che sarà, nel frattempo ho creato il corso, caricato l’elenco dei ragazzi e delle ragazze su MOODLE.

Ci sono alcune cose da decidere con la classe. Riprenderò il discorso.

primo giorno di un nuovo anno

Domani inizia un nuovo anno scolastico, per me. Oggi hanno iniziato le prime, domani le altre classi.

Anche se conosco la maggior parte delle classi provo sempre un po’ di tensione: in un’estate le persone cambiano. Anche io sono diverso: mi sono tagliato la barba. Ho visto alcuni fra studenti e studentesse, passati oggi per delle informazioni. Chissà cosa sono diventati in questi mesi estivi, durante i quali hanno pregustato qualcosa della vita da adulti. Le classi terze spesso vogliono fare bella figura. Chissà come sono.

Poi ho assegnato dei compiti delle vacanze un po’ impegnativi, lettura di alcuni libri. Ma dovevano anche scegliere e commentare un’immagine. Vediamo cosa hanno fatto. Magari pubblico le cose migliori sulla piattaforma della scuola.

In genere la prima ora dopo le vacanze non è troppo impegnativa poiché non ci si avventura in spiegazioni o interrogazioni. In realtà c’è almeno una studentessa che deve essere interrogata, subito! Comunque ci sono emozioni di segno diverso, si colgono nello sguardo più articolato delle quinte; in quello un po’ spaccone e spaventato delle quarte; e in quello incerto e curioso delle terze.

Chissà cosa dirò e come si svolgeranno le lezioni. Non vorrei che una certa consuetudine con la routine scolastica mi privi del senso della scoperta avventurosa.

Camus in classe

In una quinta stiamo trattando l’Esistenzialismo; dopo aver esposto alcune cose di Heidegger ho voluto far leggere qualcosa di Camus. Non di Sartre. Si sono rivelati più attenti di quanto mi aspettassi. Alla fine della lezione gli studenti avevano bisogno di scherzare, come accade ogni volta che sia esce da una prova impegnativa.

Ho letto brani da La peste e da L’uomo in rivolta. Da La peste, fasi iniziali, quando il protagonista, il dottor Rieux, si trova per la prima volta di fronte alla parola terribile “peste” e reagisce come tutti i suoi concittadini: “I flagelli, invero, sono una cosa comune, ma si crede difficilmente ai flagelli quando ti piombano sula testa. (…) Quando scoppia una guerra, la gente dice : ‘Non durerà, è cosa troppo stupida’. E non vi è dubbio che una guerra sia davvero troppo stupida, ma questo non le impedisce di durare.” (A. Camus, La peste, Bompiani, Milano, 1982, pag. 30). Poi la conclusione, “Ma egli sapeva che questa cronaca non poteva essere la cronaca di una vittoria definitiva; non poteva essere che la testimonianza di quello che si era dovuto compiere e che, certamente, avrebbero dovuto ancora compiere, contro il terrore, e la sua instancabile arma, nonostante i loro strazi personali, tutti gli uomini che non potendo essere santi e rifiutandosi di ammettere i flagelli, si sforzano di essere dei medici.” (pag. 235).

Ovvero la rivolta dell’individuo contro la morte, la violenza per proteggere assieme agli altri ma senza eroismi la vita delicata che ci è capitata: “Il male che un solo uomo provava diviene peste collettiva. In quella che è la nostra prova quotidiana, la rivolta svolge la stessa funzione del ‘cogito’ nell’ordine del pensiero: è la prima evidenza. Ma questa evidenza trae l’individuo dalla sua solitudine. E’ un luogo comune che fonda su tutti gli uomini il primo valore. Mi rivolto, dunque siamo”” (A. Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, 2012, Milano, pp. 26-27).

Uno studente ha trovato in un ragionamento di Camus un proprio pensiero. Una ragazza ha voluto capire meglio il rapporto fra rivolta dell’individuo contro l’ingiustizia e la difesa di qualcosa. Ho parlato della possibilità di prendersi cura senza per questo perdersi nelle inflazioni dell’eroismo ma impegnandosi in quel ritorno dell’identico che è la vita quotidiana.

insegnare: è possibile?

I miei professori tenevano rigorose lezioni frontali, la noia non era prevista perché non era dato che gli studenti avessero sentimenti ed emozioni. Nella sua struttura di fondo ho adottato la modalità della lezione frontale, però faccio attenzione, o cerco di fare attenzione, al clima emotivo della classe e alla tensione mentale.

A lezione parlo e mi aspetto che gli studenti scrivano quello che dico, che ricopino gli schemi che illustro alla lavagna. Dedico del tempo a leggere brani dal libro di testo. In apertura della lezione scelgo uno studente perché ripeta ciò che ho spiegato in precedenza. Talvolta faccio qualche battuta per alleggerire il peso della lezione, ma non so se ridano per compiacere il professore o per quale altro motivo. Rivolgo alla classe domande, sollecito spiegazioni su termini o concetti che ho espresso o che i ragazzi suppongono di conoscere. Teatralizzo la lezione, mi diverto e credo che gli studenti se ne accorgano.

Da qualche anno uso la piattaforma Moodle, pur fra mille difficoltà: ogni anno scopro con stupore crescente che il digital divide attraversa le nostre città e quartieri perché la quantità di studenti che “non ho il collegamento o il credito” è sempre crescente, mi chiedo chi sbagli le statistiche d’uso degli smartphone fra i giovani; in ogni caso ho iniziato a ricorrere al Bring Your Own Device (BYOD) suscitando interesse: se spinti cercano le parole, le definizioni; li mando sulla piattaforma con la app di Moodle. Ogni anno devo affrontare discussioni sull’uso delle password e ricordo loro che le chiavi d’accesso alle piattaforme sono cruciali per la cittadinanza digitale. Spiego che nella rivoluzione digitale in atto occorre agire cercando un equilibrio fra l’invadenza degli algoritmi che frugano nella nostra vita e la ricerca di una forma di verità o plausibilità sui social.

Non sono soddisfatto di ciò che accade in aula ma sono profondamente convinto che sia io che loro facciamo il possibile, e anche di più, per avvicinarci gli uni agli altri. Sono lodevoli e a tratti eroici per quanto studiano, leggono, scrivono, ricercano seguendo le indicazioni di quegli abbozzi di flipped classroom che allestisco.

Mi imbarazza dare i voti.

Ma alla fine resta sempre quel sapore amaro: insegnare è possibile? Io stesso non ricordo nulla di ciò che ho studiato o mi hanno insegnato al liceo.

Eppure qualcuno le deve fare. Se non insegna nessuno, qualcosa crolla della società e della vita.