Anno scolastico 2021/2022. Studenti, docenti, personale ATA, dirigenza, funzioni strumentali, docenti nuovi e docenti trasferiti, giudizi sospesi e promozioni, esami di idoneità e libri di testo, DAD, DDI, tablet e matite, libri, test.
Poi gli amori fra i banchi, le amicizie, gli odi, i professori che anche loro hanno delle preferenze e sbagliano, gli studenti che capiscono bene i professori, la dislessia, le competenze o le conoscenze, i voti che non sono un giudizio sulla persona, le persone che giudicano i voti.
Poi le aule piccole, grandi, fredde, calde, con le porte, in sicurezza, i banchi con professore i bidelli non puliscono, le finestre in sicurezza.
Poi i bus, le auto, i motorini, le biciclette, i monopattini, gli skate da lasciare ai bidelli, il treno, i ritardi giustificati, non giustificati, i pianti nel corridoio, gli attacchi di panico, le urla durante l’intervallo, le domande senza risposta, le risposte date sottovoce.
Poi i genitori, mio figlio lo conosco bene, la famiglia, per carità non critico ma, le firme false, le telefonate, il covid19 che è stata una tragedia, il teatro a scuola, i progetti, ai miei tempi si faceva scuola mica progetti che non portano a nulla.
Poi il voto di condotta, la media, nel primo quadrimestre mi tengo sempre stretto, un’insufficienza non è la fine del mondo, è una lode meritata, quel professore è severo ma giusto, le programmate, i voti non servono, i voti servono, fuori dalla scuola la vita è diversa, la vita qui non è diversa da quella fuori dalla scuola, i fallimenti insegnano, non bisogna scoraggiarsi, il professore non mi ha detto il voto, possiamo vedere i compiti, l’archivio.
Poi i bagni puliti, le scale d’emergenza, i turni, la biblioteca, nessuno ci va, il burn out, i viaggi d’istruzione, formazione o didattica, l’ambulanza, i preposti, le palestre, i palloni, il gioco di squadra.
Poi i dipartimenti, i consigli di classe, dei docenti, il consiglio d’istituto, il DSGA, la determina, il verbale, l’approvazione del verbale, voglio che sia messo a verbale, quando finisce.
Poi l’alternanza scuola lavoro, il PCTO, il PTOF, la qualità, l’atto d’indirizzo, l’OCSE, l’INVALSI, l’ufficio scolastico, le commissioni, l’aggiornamento.
Ma perché paragonare gli esami di oggi con quelli di ieri? Quale mefitica competizione inquina le parole di chi sostiene che “ai miei tempi era diverso e più difficile”?
Quante risposte possibili a chi si vanta della durezza degli esami di quaranta, trenta o venti anni fa?
Non finiscono mai, come si ripete da tempo. C’è sempre un nuovo esame da sostenere e mentre si è sotto torchio l’esame è interminabile
Ma quest’anno è tutto diverso perché il “Covid”, la “didattica in presenza” e il “disastro formativo di questa generazione”. Disastro che può essere evitato solo con un esame. Si sa che gli esami purificano e questo esame odora di ordalia.
Poi ci saranno i post scandalizzati su:
Vestiti degli studenti.
Linguaggio degli studenti.
Preparazione degli studenti.
La DAD e gli studenti.
Poi ci saranno post indignati su:
L’esame di 7 anni fa.
L’esame di 22 anni fa.
L’esame di 33 anni fa.
La maturità dei tempi andati.
L’esame delle elementari di 50 anni fa e l’esame di stato del 2021.
Post indignati ovunque, comunque, dovunque, su chiunque.
Può avere vari nomi: homeschooling, istruzione parentale, unschooling; è una modalità prevista dalla legislazione italiana vigente, dal sito del Ministero. Il principio animatore è lasciare libertà a bambini e ragazzi che, privi delle costrizioni fisiche, psicologiche e culturali insite nelle aule scolastiche, sono nella condizioni ideali per apprendere realmente e fruttuosamente.
Le famiglie, anziché iscrivere i propri figli in una scuola, fidandosi della professionalità di laureati che hanno sostenuto corsi ed esami specifici per poi entrare nelle aule e mettere alla prova dell’esperienza le conoscenze acquisite, possono istruire i propri figli autonomamente a casa. L’arco di volta della domanda di istruzione parentale è espressa dall’articolo 111, comma 2 del Decreto legislativo 16 aprile 1994, n.297, nel quale sono definiti gli obblighi dei genitori:
I genitori dell’obbligato o chi ne fa le veci che intendano provvedere privatamente o direttamente all’istruzione dell’obbligato devono dimostrare di averne la capacità tecnica od economica e darne comunicazione anno per anno alla competente autorità.
La “capacità tecnica od economica” si traduce nell’accertare se i genitori sono diplomati e capaci di una certa autonomia economica. Quindi un diploma di almeno un genitore equivale a un gruppo di laureati con esperienza talvolta decennale nella propria disciplina.
La domanda che mi pongo è come possa l’unione fra relazione genitoriale e libertà di esplorare in modo personale compensare lauree, esperienza, conoscenze.
In altri termini, mi pare una stortura capace di vanificare competenza e professionalità per cui per insegnare basta avere un diploma di scuola superiore di secondo grado purché si sia genitori.
In un altro articolo ho descritto un percorso dedicato alla compassione che ho tenuto durante il lockdown. Ora ne espongo un secondo che riguarda il linguaggio.
Perché questa riflessione?
Esiste una relazione generale fra linguaggio, individuo e democrazia. Negli ultimi decenni ci si è concentrati sul rapporto fra democrazia e media, televisione, giornali e poi il “web”. Per questo sembra di ripetere un discorso già tenuto e come tutti i discorsi già ascoltati, può perdere di mordente. Ma qui ho voluto che gli studenti considerassero un aspetto lasciato in ombra, per quanto in fondo sotto gli occhi di tutti: i media, e il web sopratutto, fioriscono grazie al linguaggio, colloquiale, colto o schematico. Per introdurre l’argomento ho usato l’audio di un filosofo italiano vivente, Salvatore Natoli, per il quale la sopravvivenza della democrazia dipende da una sorta di costante apprendimento linguistico.
In aggiunta alle parole di Natoli, le osservazioni sulla neolingua che George Orwell aggiunse in coda al suo romanzo 1984. La neolingua di 1984 è pensata per eliminare metafore, per essere semplice, per stigmatizzare, per esprimere concetti opposti con il medesimo termine. Semplificare il linguaggio per ridurre le capacità interpretative delle persone.
Linguaggio e musica
La trattazione ha inizio dopo l’introduzione generale e poi propongo delle musiche per stimolare la riflessione e la partecipazione dei ragazzi. Invito ad ascoltare tre canzoni che citano il linguaggio pur essendo diverse fra di loro per stile, periodo.
No language in our lung, del gruppo inglese XTC. Quando mancano le parole: nei nostri polmoni c’è il fiato per dire ma le parole falliscono proprio quando dovrebbero dare il meglio di sé.
Don’t talk (put your head on my shoulders), degli americani Beach Boys. Le parole possono essere superflue perché ascoltare il battito del cuore è arduo e richiede il silenzio. Ma se non ci fosse un discorso e il linguaggio, esisterebbe il silenzio?
Language is a virus, della cantante e compositrice americana Laurie Anderson. A disease is spreading worldwide. But what if also language itself were a virus.
Linguaggio e quarantena
Siamo in guerra! Il coronavirus e le sue metafore. La metafora della guerra è la più usata per raccontare il coronavirus. Ma cosa si annida nelle metafore? Il mutamento (linguistico) del coronavirus. Per conoscere i risvolti linguistici del Corona Virus discutiamo in videoconferenza alcuni articoli che analizzano la lingua della pandemia ovvero come il coronavirus ha cambiato il nostro modo di parlare, dall’ossessione per i termini medici a quella per la panificazione.
Linguaggio e realtà
Un rapporto difficile da sempre. Una parte consistente della filosofia del Novecento si è occupata del linguaggio, inteso come l’orizzonte trascendentale di senso dell’uomo. Per Wittengstein “I limiti del linguaggio sono i limiti del mondo”. Prima il linguaggio o prima le cose? E’ il linguaggio a determinare la realtà o la realtà a modificare il linguaggio? Metafore: fra linguaggio e pensiero. Per illustrare le caratteristiche della metafora ho fatto un video.
I principi regolativi della comunicazione
In conclusione le quattro massime della comunicazione di Grice. Con esercizio pratico di analisi di articoli valutati in base alle massime di Grice.
Ho acquistato un periodico nuovo, Vita, che, come riporta nell’intestazione, è un portale di Sostenibilità sociale, politica ed economica. Ne ignoravo l’esistenza e dopo un passaggio sul sito, metto sito e rivista cartacea in quarantena: c’è un lungo articolo su Agamben e sul passaggio dalla biopolitica alla biosicurezza che mi lascia perplesso. Ma non è di questo che voglio scrivere perché è altro ciò che mi dà da pensare.
Il numero di settembre è dedicato alla scuola con tanto di titolo in copertina: “Una nuova scuola si può fare”. Condividendo la speranza acquisto la rivista. All’argomento “nuova scuola” sono dedicate 52 pagine su 98. Ben più della metà. Molti gli articoli e i temi toccati ma mi pare che qualcosa non torni, a parte un certo tono stucchevole che attraversa le descrizioni dei fantastici risvolti delle classi aperte, senza muri, con tecnologie avanzate, della collaborazione fra territorio, scuola, famiglie, associazioni, reti e altro ancora; a parte il sapore celebrativo legato alla totale mancanza di senso critico che almeno esponga un limite delle sperimentazioni o dei corsi innovativi. A parte queste e altre cose che posso sopportare nella misura in cui si tratta di fare breccia in abitudini, immagini e pregiudizi consolidati nei secoli per cui ora non è importante soffermarsi sugli aspetti problematici del cambiamento ma cambiare. Inoltre, mi dico, ben venga la diffusione di buone pratiche del mondo della scuola, altrimenti sommerso da luoghi comuni, semplificazioni sconcertanti e politiche superficiali. Dopo tutto questo resta un problema cui non so dare una risposta plausibile.
Dove sono le scuole superiori?
Nelle 52 pagine leggo interviste a dirigenti di scuole primarie, dell’infanzia, delle scuole medie. Ma dove sono i docenti e le esperienze delle scuole superiori? Possibile che non ci sia nulla di equivalente nelle scuole superiori? La mancanza dipende dai docenti delle superiori che “non sperimentano la scuola senza muri” oppure dai giornalisti che si soffermano alla fase della formazione dei ragazzi affidata al ciclo della scuola italiana con maggior riconoscimenti internazionali? Oppure i diversi ordini di scuola hanno mitologie proprie: le scuole elementari sono la curiosità fiduciosa dell’infanzia; le scuole superiori l’inquietudine colma di nostalgia di quasi uomini e donne in vista della “vita vera”.
Non so dare una risposta. Durante decenni di insegnamento nella scuola superiore, ho incontrato docenti conservatori, innovativi, rassegnati, spaventati, preparati, impreparati e altro ancora. E forse la mappa delle competenze e degli atteggiamenti nella scuola primaria non è così radicalmente diversa. Per me la maggior parte del lavoro in aula è consistito nella spiegazione e nella lettura di libri di testo, relativamente costosi, a studenti che legano la propria autostima al voto. Ho organizzato attività alternative (per esempio durante il lockdown), “fuori le mura della scuola” e ho avuto delle conferme, per esempio che gli studenti misconoscono la scrittura condivisa perché sono stati addestrati per anni a suddividere studio e lavoro di gruppo in ricerche individuali poi messe una dopo l’altra; che l’impegno delle persone non cambia a seconda della metodologia didattica, innovativa o tradizionale; che a proposte interessanti per me non necessariamente seguono risposte appassionate degli studenti. In sintesi, che fare previsioni e formulare leggi è sempre rischioso.
Detto tutto ciò, una domanda continua a frullarmi per il capo:
Dove sono i docenti che sperimentano nuove strade per le scuole superiori?
La scuola in cui insegno si appoggia a Moodle per la didattica online che in passato ho usato per integrare attività online con la lezione in presenza. Le attività per i ragazzi erano: visione di filmati, condivisione di documenti e intervenire nei forum; ma queste erano sempre inserite nello schema consueto della “classica lezione frontale”. Se novità c’era, risiedeva nel definire un percorso fra argomenti slegati dal libro di testo mediante documenti e test disponibili solo online. Il lockdown mi ha dato l’opportunità di mutare la prospettiva poiché il centro del mio lavoro di docente è dovuto passare da “come insegno io” a “come apprendono gli studenti”.
La domanda dell’insegnamento della filosofia
In cosa consiste apprendere la filosofia? Ho scelto come riferimento l’affermazione di Kant per il quale si può, e si deve, insegnare a filosofare senza limitarsi a esporre le filosofie. Ovvero si possono portare gli studenti, con stimoli e discussioni, a porre domande su problemi e processi, ad analizzare concetti, metodi, idee e ragionamenti per trovarne condizioni, limiti e possibilità. Perciò ho proposto alcuni argomenti con l’intenzione di considerarli assieme agli studenti. In questo articolo espongo il corso sulla compassione.
La compassione
In verità avevo intenzione di trattarlo fin da prima del lockdown e perciò avevo predisposto alcune attività e documenti. Il lockdown mi ha portato a cercare un riferimento alla “realtà” più stringente. Un brano di Nussbaum tratto da L’intelligenza delle emozioni, (Il Mulino, capitolo “Compassione e vita pubblica” pag. 484 – 485) su compassione e vita pubblica nel quale l’autrice osserva che la compassione è assente dallo spazio pubblico statunitense, tanto nella discussione quanto nei comportamenti. Nella società statunitense, su malati, poveri, disoccupati, grava una censura, inesorabile e ostile, poiché sono giudicati come moralmente riprovevoli in quanto hanno rinunciato a dominare attivamente la realtà. Secondo la filosofa americana, in tale ottica la passività è da condannare. Quale antidoto a questo giudizio, allo stesso tempo emotivo e cognitivo, che colloca all’origine di molti processi di esclusione sociale, Nussbaum propone la tragedia greca che, mettendo in scena la lotta dell’eroe per la difesa o il ripristino della dignità umana messa in crisi o distrutta da eventi incontrollabili, suscita negli spettatori compassione, paura e partecipazione. In questo modo la filosofa, che riprende le teorie aristoteliche sulla catarsi, spera da un lato che uomini e donne sperimentino il senso del vivere assieme e dall’altro che la partecipazione alla lotta per la dignità favorisca il fiorire delle capacità umane.
Attività per i ragazze e ragazzi
Una volta letto il brano, ragazzi e ragazze devono valutare in una discussione su un forum dedicato se le osservazioni della Nussbaum valgono anche per lo spazio pubblico italiano. Studentesse e studenti hanno scritto sul forum dedicato ma ciascuno individualmente. Infatti, in parte per una mia distrazione, la classe ha inteso che ciascun intervento dovesse essere separato dagli altri e non essere scritto in un forum comune. In ogni caso è stato significativo che nessuno abbia letto gli interventi degli altri, credo per un malinteso senso della privacy. Mi pare segnali una delle difficoltà di fondo dell’apprendimento a distanza nel contesto scolastico italiano: la collaborazione. La concezione della costruzione sociale della conoscenza si arresta di fronte ad abitudini consolidate.
Tragedia
Filottete
Il brano della Nussbaum si rivela di ardua comprensione, sopratutto perché in generale non è nota la tragedia greca e e ancor meno il Filottete, cui la filosofa fa riferimento. Perciò divido la classe in quattro gruppi e affido a ciascuno di essi un approfondimento, come nell’elenco dato di seguito. Ogni gruppo deve riportare la propria ricerca in un wiki, per proseguire nell’attività di scrittura condivisa.
Quali sono le caratteristiche della tragedia greca? Quali gli autori? Come nacque?
Sofocle: chi era? Quando visse? La tragedia Filottete: trama e significato.
Aristotele: in quale libro tratta della tragedia? Quale teorie sostiene?
Shakespeare: periodo e caratteristiche della tragedia.
La difficoltà di questa attività è stata la competenza digitale in senso più stretto: pochi hanno messo a fuoco cosa significhi scrivere un Wiki mediante un editor online fornito di pagine di amministrazione, funzioni per l’inserimento di immagini, collegamenti e altre cose del genere. Nel complesso però, il lavoro arriva alla fine.
Musica
Successivamente propongo una canzone del gruppo Galactic, intitolata Does it Really Make a Difference? voce Mavis Staples. Alla fine dell’ascolto studenti e studentesse devono scrivere in un forum sulla piattaforma le proprie riflessioni sulla canzone: se e come ha a che fare con la partecipazione emotiva alle vicende altrui. Le osservazioni si concentrano sopratutto su cosa sia “fare la differenza” su alcuni aspetti del testo relativi alla solitudine e all’essere gli uni vicini agli altri.
Come definire la compassione
A questo punto del lavoro, si affronta di petto la compassione cercando di distinguere termini ed emozioni talvolta confusi o considerati come sinonimi. Gli autori di riferimento sono Freud, Scheler, Schopenhauer, Jaspers. I termini analizzati sono:
contagio emotivo;
compassione;
empatia.
Evoluzionismo: fitness inclusiva e altruismo
Per non limitare le discussione a schemi consueti ho scelto di aggiungere una parte sull’interpretazione evoluzionistica dei comportamenti cooperativi. Prendendo una strada diversa da quella del libro di testo, che si ferma a esporre il “darwinismo sociale” trascurando gli studi evoluzionistici del Novecento, ho esposto l’evoluzionismo di Darwin e successivamente la teoria della fitness inclusiva di Hamilton. La mia spiegazione via video era accompagnata da documenti, link e video sulla piattaforma.
E se la compassione fosse sbagliata?
Tanti buoni sentimenti rischiano di essere nauseanti. Inoltre non volevo appiattire il discorso sulle sole posizioni “pro compassione”. Perciò ho voluto aggiungere due autori critici nei confronti della compassione. Spinoza, per il quale: “nell’uomo che vive secondo ragione la compassione è per se stessa cattiva e inutile” perché non è altro che dolore, per cui “l’uomo che vive secondo ragione si sforza per quanto può di non essere toccato dalla compassione” come neppure dall’odio, dal riso o dal disprezzo, perché sa che tutto deriva dalla necessità della natura divina.
Successivamente la critica di Nietzsche che individua nella compassione una delle cause del risentimento e dell’odio fra gli individui.
Esercizio finale: scrivere sulla compassione
Dopo incontri video in sincrono, dopo scritture sui forum, dopo ascolti e documento condivisi, si è passati alla fase finale. Studenti e studentesse dovevano scrivere un testo con le proprie riflessioni sull’argomento. Di seguito riporto il testo del “titolo” del saggio.
Nel percorso attraverso la compassione abbiamo visto diverse posizioni e analisi sul quei sentimenti che in genere sono classificati come “empatia”, “compassione”. All’origine vi è la riflessione della Nussbaum sulla tragedia greca che ci educa alla compassione in quanto assistiamo alla lotta, talvolta destinata alla sconfitta, dell’eroe per difendere o riscattare la propria dignità di essere umano. In particolare l’eroe lotta attivamente per riscattarsi da un destino subito devastante e sovrastante.
Nella vita pubblica, osserva Nussbaum, non c’è spazio per la compassione verso le persone che si trovano in difficoltà, anche tragiche e disperate, le quali, anzi, spesso sono condannate moralmente, stigmatizzate, per le difficoltà in cui si trovano. Ne sono un esempio per la filosofia americana, l’atteggiamento di disprezzo con cui nelle società statunitense sono trattate i poveri, i malati privi del denaro sufficiente per curarsi e così via.
A partire da queste osservazioni abbiamo cercato di distinguere la compassione dai sentimenti di partecipazione apparente o addirittura di negazione della compassione, per esempio il contagio emotivo e altro ancora. Successivamente abbiamo preso in considerazione la compassione e la collaborazione come fattori significativi per l’evoluzione della specie umana.
L’ultimo contributo alla ricerca è un testo di Nietzsche che critica aspramente i “compassionevoli” in quanto la compassione suscita risentimento e rabbia nel compatito. Del resto la compassione viene criticata anche da Spinoza per il quale è la conoscenza che rende l’uomo libero mentre la compassione, o la derisione, lo rendono tengono nell’ignoranza.
La compassione, quindi, è un tema articolato che riguarda diversi aspetti della vita individuale e sociale e può essere un fattore di miglioramento della vita associata ma allo stesso tempo avere dei limiti o essere confusa con atteggiamenti remoti dalla partecipazione alla sofferenza dell’altro.
Facendo riferimento agli argomenti trattati in questo percorso scrivere un saggio sui limiti e le possibilità della compassione e del sul ruolo nella vita pubblica, se questa ha spazio oppure se viene rifiutata, se la si confonde con il contagio emotivo. Aggiungere delle proprie riflessioni sui limite della compassione. Nella stesura della relazione occorre fare riferimento ai concetti e alle riflessioni esposte nel percorso.
Conclusioni e riflessioni finali
Obiettivo dell’unità era duplice: da un lato avviare la scrittura condivisa di una ricerca su un argomento specifico, dall’altro la produzione di un testo filosofico sulla compassione. Per arrivare a questi obiettivi ho messo in atto diverse attività: lettura, ascolto, stimoli emotivi, varietà di fonti e punti di vista, video in diretta e video registrati.
Durante il percorso ci sono state alcune difficoltà: la scrittura condivisa non è facile da praticare sia per la poca consuetudine con la piattaforma sia per l’abitudine a “fare da soli ed essere valutati per il proprio lavoro individuale”. Devo, inoltre, essere onesto e mettere in luce il mio errore di fondo: troppo materiale, troppe attività messe in gioco e ciascuna impegnativa. Occorre bilanciare meglio la quantità di attività, il percorso.
La verifica finale. I “temi” hanno almeno riassunto le diverse idee, non sempre in modo completo o fedele all’originale, ma da questo punto di vista non è stato così diverso da certe interrogazioni. Pochi si sono davvero arrischiati ad assumere delle posizioni critiche. Occorre lavorare ancora molto.
Vedo su Facebook i profili dei miei ex studenti e studentesse. Purtroppo alcuni sono morti sia di malattia sia per scelta, per così dire. Recentemente vedo molte gravidanze o parti. Sono delle sorprese e tutto sommato questa generazione ha più coraggio della mia perché a trent’anni o prima si impegnano con gravidanze. Alcuni matrimoni. Alcune persone hanno trovato un amore reciproco dopo anni di sofferenza e abbattimento.
Poi ci sono le comunicazioni veloci di Istagram: una scritta, una fotografia con un commento ironico, alcune fotografie con amici e amiche. Ma nessuna scritta. Sembra di vedere delle parabole possibili: alcune persone a forza di essere ironiche dopo un rifiuto fanno del personaggio su Istagram la propria costante. E’ sempre difficile accettare i dolori che l’amore lascia dietro di sé, ma è questione di vita o di morte. Da certe cose occorre liberarsi. Anche qui molte neomadri con i bambini. Ma non sempre si vede il padre, che non viene neanche citato. Molti profili di Istagram non sono su Facebook. Molte le dichiarazioni d’amore.
La maggioranza delle foto ha una certa bellezza. Le espressioni ora sono meno avide di qualche anno fa, forse alcuni colpi ricevuti o dolori inaspettati iniziano a rendere più indifesi e delicati.
Non sempre i contatti con la classe sono mantenuti. Allo stesso modo non vedo i profili di molti forse inabissati nel mare fuori Istagram e Facebook o esclusi algoritimicamente dalle mie visualizzazioni. Molte fotografie con nonne e nonni. Il lavoro è il grande assente. Così come la scuola.
non sopporto alcune cose che si dicono sulla mia professione, sulla scuola e sugli studenti. Le elenco.
L’insegnamento è una passione. Provaci tu a spiegare Kant a 20 studenti ormonali mettendoci la passione.
L’insegnamento può essere fatto solo in presenza. E come la mettiamo con Platone che difficilmente può fare lezioni dal vivo?
L’insegnamento non è una professione come le altre. Nessuna professione è come le altre, si chiama specializzazione.
Le insufficienze servono per crescere. Versione pedagogico moralistica della sofferenza come via di redenzione.
Gli studenti non sono come ai miei tempi. Neanche io sono come ai miei tempi.
Gli studenti non hanno rispetto. Nella mia generazione alcuni gettavano bombe contro poliziotti, dirigenti industriali; un gruppo si è dedicato con tale impegno che ha rapito e ucciso Aldo Moro. Non scordiamo la grande quantità di tossicodipendenti che rubavano per strada dopo aver svuotate le proprie case per comprarsi l’eroina.
Ma sopratutto c’è una cosa che sopporto meno di tutte:
l’inerzia conservatrice che blocca qualsiasi iniziativa, cambiamento, aggiustamento, della scuola.
inerzia alimentata dall’incompetenza politica e comunicativa di buona parte di chi ha compiti ministeriali di governo.