Ace of cups: gruppo di sole donne fondato nella baia di San Francisco, tiene concerti fra il 1967 e il 1972. Jimi Hendrix le elogia. Tuttavia non firmano con nessuna delle case discografiche che le contattano. Per diverse ragioni scompaiono nel 1972 ma riappaiono nel 2018 con energia, ritmo e voce da vendere. Due video: allora e ora, diverse canzoni, epoche totalmente diverse. Qualche ruga in più e una leggerezza gioiosa e vitale.
Categoria: musica
across the borderline
Canzone che canta di messicani che attraversano la frontiera per arrivare nel sognato mondo degli Stati Uniti, terra di felicità e ricchezza. Ma scoprono la disillusione delle promesse infrante, quando è troppo tardi perché il prezzo per arrivare è ormai pagato e comunque troppo elevato.
Non conosco lo stato d’animo di chi emigra clandestinamente dalla propria terra per diventare uno dei tanti senza volto e identità nel fiume anonimo della storia. Ma la condizione del transfugo dalla propria origine, mosso da una speranza rivestita di necessità o spinto da necessità rivestita di speranza, che si scopre spogliato delle proprie illusioni in un luogo indeterminato fra la nascita e la morte mi pare universale. Vedere sfilacciarsi la propria identità per incamminarsi con la propria storia sulle spalle lungo strade di vita e morte assieme a compagni di viaggio ignoti è meno inusuale di quello che si crede. In certa misura è quanto di Ulisse e dell’Ebreo errante ci abita.
La canzone, qui cantata da Bob Dylan e Tom Petty, è scritta da Ry Cooder e utilizzata anche nella colonna sonora del film Frontiera del 1982. Riporto una strofa, con la traduzione tratta dal sito http://www.antiwarsongs.org/. Per me bellissima
Up and down the Rio Grande
A thousand footprints in the sand
Reveal the secret no one can define
The river flows on like a breath
In between our life and death
Tell me who’s the next to cross the border
su e giù lungo il Rio Grande
migliaia di tracce nella sabbia
rivelano il segreto che nessuno può spiegare
il fiume scorre come un respiro
in bilico tra la vita e la morte
ditemi chi sarà il prossimo a passare il confine
river flow: nostalgia e cambiamento
Alcuni musicisti ti accompagnano per una sonorità, un timbro della voce, un giro di accordi che arrivano al momento giusto. Da ragazzo ascoltavo il disco Quah di Jorma Kaukonen perché aveva una chiarezza diretta ma non viscerale che mi permise di avere emozioni non meno profonde ma gentili e di speranza.
Kaukonen, che fu chitarrista dei Jefferson Airplane, ha avuto una ricca attività musicale sia come solista sia nel suo gruppo gli Hot Tuna. Recentemente ha pubblicato un disco, The River Flows, una manciata di canzoni con emozioni sfumate, riflessive ed energiche come solo il migliore blues e il miglior country sanno donare. Fra tutte cito la sua versione della canzone The Ballad of Easy Rider, scritta nel 1969 da Roger McGuinn per il film Easy Rider, a partire da un verso di Bob Dylan. Una lunga parte strumentale suonata con tutta la maestria chitarristica di Kaukonen. E poi quella libertà e quella nostalgia del viaggiare: il fiume scorre e nulla torna.
a fairytale of new york, the pogues
I’ve got a feeling
This year’s for me and you
So happy Christmas
I love you baby
I can see a better time
When all our dreams come true
[…]
You took my dreams from me
When I first found you
I kept them with me babe
I put them with my own
Can’t make it all alone
I’ve built my dreams around you
nativity (airto moreira), jaco pastorius
Natività primordiale.
christmas, tommy, the who
And Tommy dosen’t know what day it is.
He dosen’t know who Jesus was
Or what praying is.
How can he be saved
From the eternal grave?
Surrounded by his friends
He sits so silently
And unaware of everything.
a christmas song, jethro tull
Christmas spirit is not what you think.
didattica della filosofia: il linguaggio
In un altro articolo ho descritto un percorso dedicato alla compassione che ho tenuto durante il lockdown. Ora ne espongo un secondo che riguarda il linguaggio.
Perché questa riflessione?
Esiste una relazione generale fra linguaggio, individuo e democrazia. Negli ultimi decenni ci si è concentrati sul rapporto fra democrazia e media, televisione, giornali e poi il “web”. Per questo sembra di ripetere un discorso già tenuto e come tutti i discorsi già ascoltati, può perdere di mordente. Ma qui ho voluto che gli studenti considerassero un aspetto lasciato in ombra, per quanto in fondo sotto gli occhi di tutti: i media, e il web sopratutto, fioriscono grazie al linguaggio, colloquiale, colto o schematico. Per introdurre l’argomento ho usato l’audio di un filosofo italiano vivente, Salvatore Natoli, per il quale la sopravvivenza della democrazia dipende da una sorta di costante apprendimento linguistico.
In aggiunta alle parole di Natoli, le osservazioni sulla neolingua che George Orwell aggiunse in coda al suo romanzo 1984. La neolingua di 1984 è pensata per eliminare metafore, per essere semplice, per stigmatizzare, per esprimere concetti opposti con il medesimo termine. Semplificare il linguaggio per ridurre le capacità interpretative delle persone.
Linguaggio e musica
La trattazione ha inizio dopo l’introduzione generale e poi propongo delle musiche per stimolare la riflessione e la partecipazione dei ragazzi. Invito ad ascoltare tre canzoni che citano il linguaggio pur essendo diverse fra di loro per stile, periodo.
- No language in our lung, del gruppo inglese XTC. Quando mancano le parole: nei nostri polmoni c’è il fiato per dire ma le parole falliscono proprio quando dovrebbero dare il meglio di sé.
- Don’t talk (put your head on my shoulders), degli americani Beach Boys. Le parole possono essere superflue perché ascoltare il battito del cuore è arduo e richiede il silenzio. Ma se non ci fosse un discorso e il linguaggio, esisterebbe il silenzio?
- Language is a virus, della cantante e compositrice americana Laurie Anderson. A disease is spreading worldwide. But what if also language itself were a virus.
Linguaggio e quarantena
Siamo in guerra! Il coronavirus e le sue metafore. La metafora della guerra è la più usata per raccontare il coronavirus. Ma cosa si annida nelle metafore? Il mutamento (linguistico) del coronavirus. Per conoscere i risvolti linguistici del Corona Virus discutiamo in videoconferenza alcuni articoli che analizzano la lingua della pandemia ovvero come il coronavirus ha cambiato il nostro modo di parlare, dall’ossessione per i termini medici a quella per la panificazione.
Linguaggio e realtà
Un rapporto difficile da sempre. Una parte consistente della filosofia del Novecento si è occupata del linguaggio, inteso come l’orizzonte trascendentale di senso dell’uomo. Per Wittengstein “I limiti del linguaggio sono i limiti del mondo”. Prima il linguaggio o prima le cose? E’ il linguaggio a determinare la realtà o la realtà a modificare il linguaggio? Metafore: fra linguaggio e pensiero. Per illustrare le caratteristiche della metafora ho fatto un video.
I principi regolativi della comunicazione
In conclusione le quattro massime della comunicazione di Grice. Con esercizio pratico di analisi di articoli valutati in base alle massime di Grice.
lo straniero
There is someone in my head but it’s not me.
Il resto è una serie di note a margine.
Golden Slumbers e Like a Rolling Stone
Ne ho parlato altrove, ma ho trovato ancora dell’altro che mi preme scrivere. Tre canzoni, brevi a fine di un decennio gigantesco e vitale; tre canzoni che racchiudono mondi su mondi: Golden slumber, Carry that Weight e The end.
La prima è una ninna nanna composta da McCartney che riprende una musica del 1600. La strada per tornare a casa è persa per sempre. Irrevocabilmente. Qualche hanno prima Bob Dylan con Like a Rolling Stone chiedeva How does it feels? quando non c’è direzione verso casa. McCartney propone una specie di ninna nanna cantata con una voce dolce e rabbiosa. Essendo troppo profondo il dolore di essere senza casa occorre opporre un’illusione di sogno allo spaesamento? C’è bisogno di chiudere gli occhi di fronte alla realtà? Oppure, forse, non essendoci più la strada verso le identità famigliari si vive come rolling stones che scoprono terre nuove in cui sogno e ragione sfumano l’una nell’altra. Forse, quando le certezze mancano si vive nella terra di mezzo, dei mondi possibili, delle sfumature, dei passaggi fra i confini, delle somiglianze di famiglia. E se scoprissimo che la realtà è fatta del tessuto di cui sono fatti i sogni?
Poi arriva Carry that weight. Il tema musicale e le parti del testo riprendono una canzone precedente You never give me your money. Nei sogni si fanno anche i conti che non sempre tornano a nostro vantaggio. L’ordine del dare e dell’avere che conduceva alla cassaforte ben custodita in casa non vale più. E allora forse non siamo stati così buoni come pensavamo; forse non abbiamo dato quello che era davvero importante; forse ci siamo nascosti dietro un dare e avere spaventato e rancoroso. Quel dare e avere calcolato in base alla paura di perdere qualcosa di famigliare: un’identità. Il conto resta aperto con rimpianti che tagliano in mille pezzi il ritratto di una vita.
E il sigillo finale. I Doors avevano esordito come gruppo e aperto un’epoca con The End rito sciamanico edipico. I Beatles chiudono gli anni Sessanta con una canzone con lo stesso titolo. E’ l’unica canzone con un assolo di batteria di Ringo seguito dalle chitarre di Lennon, McCartney e Harrison che riassumono i suoni di tutti gli anni Sessanta in una manciata di secondi ascoltiamo vite, amori, speranze, rivolte, illusioni. Poi la strofa finale per chiudere e aprire con una nuova misura, valida anche nel sogno:
Oh yeah, all right
Are you going to be in my dreams
Tonight?
And in the end
The love you take
Is equal to the love you make
Dopo i rimpianti, dopo i conti che non tornano, dopo i fraintendimenti, verrai a trovarmi nei miei sogni? Sarai con me? Perché quando ci troviamo soli alla fine del sogno e delle cose a stringere rimpianti tagliandosi con le risposte mai date, le offerte fraintese, le parole spaventate gettate come verità dopo questo e quant’altro, c’è una golden rule che intreccia il tessuto di cui siamo fatti: l’amore che riceviamo è uguale all’amore che diamo.