Recitare è una parte della vita di chi “fa teatro”. Un’altra parte è il “dietro le quinte”: le prove, le luci, gli amplificatori, le scelte di regia, i marchingegni e i trucchetti per fare apparire e scomparire oggetti e attori in scena. Ed è qui che si gioca gran parte della cosa.
Il “dietro le quinte” è uno scenario simile alla fucina di Efesto in cui a partire da parole scritte sulla carta si dà corpo ad azioni, gesti, vita passando attraverso una lotta paziente e faticosa con il fisico, la voce, le luci, le reazioni istintive, le manie personali, gli oggetti, il tempo e i rapporti fra le persone. Il termine “prove” deve essere inteso nel suo significato primario: attori, regista e tecnici procedono per tentativi, alcune cose funzionano, altre no. Alla fine lo spettacolo diventa un essere vivo.
La creazione, per quanto riguardi qualcosa che per comodità chiamo “spirito”, anche se in modo del tutto improprio e per nulla “spirituale”, è quanto di più concreto, contingente, gioioso, ossessivo e faticoso abbia sperimentato in vita mia. Elenco per voci alcuni fattori.
Lo spazio
La compagnia di Alberto Negro non aveva un proprio teatro quindi abbiamo provato in qualsiasi tipo di luogo, purché ci fosse uno spazio abbastanza ampio: scuole, cinematografi abbandonati, la Manifattura tabacchi di Torino, centri sociali. Il tutto nell’incertezza: una volta ci rubarono tutta l’attrezzatura – quadro per le luci, monitor e quant’altro. Dovevamo andare in Svizzera e fu una tragedia economica ed emotiva. Il materiale rubato era di uno spettacolo assai complesso per trama, allestimento, effetti speciali, e poi lo provammo nella sala di un cinema di una cittadina vicino a Torino. Era inverno e in quella sala grande e dismessa faceva un freddo che non ti dico. Ricordo Alberto che, avendo piazzato una stufetta elettrica al centro della sala, diceva “Ora si spacca il freddo e lavoriamo bene”. Alberto è sempre stato un inguaribile ottimista.
Tirare i cavi
Abbiamo tenuto spettacoli nelle scuole, in teatri di provincia, a Porta Nuova, in sale destinate ad altri scopi. Arrivavamo dove dovevamo recitare qualche ora prima dell’inizio per montare le quinte e le luci, puntare i fari, provare il suono e infine truccarsi. Una volta concluso lo spettacolo, ci si struccava e si procedeva a smontare il tutto. In genere attrezzatura, quinte, cavi, banco luci stavano dentro un furgone rosso, il Volkswagen T1 degli anni Sessanta. La frase “Dobbiamo tirare i cavi” significava distendere i cavi elettrici dal banco luci in sala ai fari sul palco; puntare le luci e poi fissare i cavi a terra con il nastro adesivo. Il banco elettrico era una scatola di ferro con dei potenziometri e degli interruttori. Se un qualsiasi addetto alla sicurezza lo vedesse oggi fuggirebbe.
Gli attori
Senza di loro non c’è teatro. Alberto aveva la capacità di mettere assieme persone diversissime fra di loro per cultura, origine, stile di vita, carattere. Se devo essere sincero, alcune non le avrei mai frequentate, se non fosse stato per lui. Fra l’altro non ho mai capito dove le conoscesse. I ricordi sulle persone meritano un discorso a parte. In questa breve escursione, ricordo il continuo cercare di coniugare le personalità di ciascuno nello spettacolo.