abiti, intimità e poesia

Che abiti bizzarri indossano gli uomini!
Il passante che hai salutato sovrappensiero,
Il Presidente che appare compiaciuto sulla rivista,
L’indossatrice, la bellezza al bagno.

La ballerina con la sfera, il palombaro,
Il burocrate, l’adultero,
Celano parti intime che io rivelo
A quelli che sanno cosa sa una poesia.

Delmore Schwartz, America! America!, Ventura edizioni, Senigallia, 2022, pag. 135.

Lo scrittore Delmore Schwartz è stato un riferimento letterario di Lou Reed, che trasferì nel rock la poesia dei conflitti e delle verità intime.

What Curious Dresses All Men Wear

What curious dresses all men wear!
The walker you met in a brown study,
The President smug in rotogravure,
The mannequin, the bathing beauty.

The bubble-dancer, the deep-sea diver,
The bureaucrat, the adulterer,
Hide private parts which I disclose
To those who know what a poem knows.

non capivano il potere

Ben prima del film Lotta continua e del ritorno delle discussioni pubbliche sul terrorismo e gli anni Settanta, lessi il libro Brigate rosse, scritto da Mario Moretti. E’ testimonianza di un’epoca distante, con idee, fanatismi e morti terribili. Gli eventi di quegli anni hanno condizionato profondamente la storia italiana e internazionale perciò è certo che con queste poche parole io non possa esaurire la complessità del periodo e dei suoi effetti. Ma c’è una frase che mi ha dato da pensare.

Il libro è una testimonianza di Mario Moretti, una delle figure di spicco della Brigate Rosse, che ha pianificato il rapimento di Aldo Moro, l’evento che più di tutti ha cambiato la storia d’Italia, sia nell’immediato sia nel lungo periodo. Gli anni Ottanta, il berlusconismo sono nati e hanno prosperato sulle spalle del terrorismo e dell’uccisione di Moro. La Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano hanno iniziato a scricchiolare proprio dal 16 marzo 1978, giorno del rapimento. Per capire le ragioni della reazione degli italiani al terrorismo è utile ascoltare la telefonata con la quale Moretti comunica a Eleonora Moro che “accadrà l’inevitabile”, che il marito sarà ucciso, che i veri responsabili sono altri.

Ma chi erano queste persone? Come ragionavano? Con quale lucidità hanno fatto le loro scelte? Una frase nel libro di Moretti aiuta a capire, almeno qualcosa.

Ma noi eravamo le Brigate Rosse, un’organizzazione rivoluzionaria, non una conventicola del palazzo: del potere sapevamo poco o nulla. Soltanto discutendo con Moro scopriremo i meccanismi attraverso i quali la DC si regge. (M. Moretti, Brigate rosse, 2007, Mondadori Milano, pag. 119).

Ovvero: non capivano niente del potere e volevano fare la rivoluzione, come dei ragazzini incoscienti che agiscono senza pensare e solo perché è bello agire. Non è agire da irresponsabili? Quale forma assume questa irresponsabilità?

Partirei dal valore assegnato alla propria esperienza ritenuta più probante dello studio. Di fatto sarebbe bastato leggere qualche libro di storia, qualche articolo di giornale senza il filtro dell’ideologia che i meccanismi di potere all’interno della DC sarebbero stati noti. Se si legge una cosa qualsiasi attraverso le lenti dell’ideologia, allora tutto appare come propaganda, come uno specchio per le allodole, rispetto al quale il primo, fondamentale e unico atto liberatorio consiste nel rivoltarsi dando le spalle a tutto ciò che è dato, per credere solo a ciò che la forza violenta dell’esperienza rivoluzionaria mostra. Solo nell’atto violento si manifesta la realtà delle cose, proprio perché capovolge i valori di verità accettati. Solo nell’agonia del nemico morente c’è la possibilità della verità.

E se si elaborasse una filosofia della verità nel sorgere e non nel tramonto?

violenza o conoscenza

Le frasi “Così impara” o “Cosi imparano” seguono gli o si accompagnano agli atti di violenza o umiliazioni. Le parole vanno prese sul serio, sopratutto quando affiancate alla violenza.

Due riflessioni rapide:

  1. la violenza viene nascosta dalla frase “così impara”;
  2. la violenza viene giustificata dalla frase “così impara”.

In questo caso la relazione fra occultamento e giustificazione è più contorta che in altri casi, giacché la giustificazione spesso è considerata un momento importante del processo di chiarificazione, di messa in luce. Anche quando la giustificazione è inconsistente, è comunque un inizio. Ma qui la cosa pare molto diversa.

Non dimentichiamo che per secoli la giustizia, umana e divina, è stata sancita e mantenuta con la violenza, del singolo, della società o dell’istituzione. Quindi la violenza è stata usata per “insegnare” a non “commettere atti impuri”, quali che fossero. E quanto più grave la violazione, tanto più severa e devastante la violenza giustificatrice.

Per secoli ci è stato detto, e hanno tentato di insegnarci, che la forza violenta è giusta ed è giusto che abbia la meglio su altre considerazioni; che l’umiliato ha solo da imparare la lezione che gli è stata data; che quella lezione lo ha formato come nessuno altro atto mai ha fatto o potrebbe fare.

Ma vorrei aggiungere un paio di pensieri a ruota libera.

Un’ipotesi: se qualcuno vuole sottrarsi dall’umiliazione del subire la violenza, allora vuole perseverare nell’errore. E perciò è meritevole di ulteriori umiliazioni e violenze.

Note a margine. Da ragazzo ho subito violenza da coetanei e l’umiliazione non mi ha reso migliore. Inoltre, conosco persone che da giovani sono state umiliate anche sulla base di pregiudizi, la forma originaria di certa violenza soprattutto istituzionale; molte hanno avuto la vita distrutta da quell’ umiliazione, poche sono riuscite a salvarsi. Tutte ricordano con rabbia e dolore il momento dell’umiliazione.

Ricorrere all’umiliazione peggiora e priva di autorevolezza anche chi umilia non solo chi subisce.

Fiori

I fiori sono esseri viventi che non devono trarre in inganno. Ciò che noi umani chiamiamo bellezza floreale non sono altro che strategie di attacco, difesa: i colori e le forme dei petali sono inganni per gli insetti; i colori vivaci servono per spaventare. Le piante hanno perfino antipatie chimiche fra di loro per cui alcune non possono convivere nello stesso terreno con altre: una delle due muore.

Foglie carnose, steli puntuti, odori acri o dolciastri, liquidi amari secreti dagli steli, veleni trasformano il regno vegetale in un ambiente violento e ostile, vicino alle forme di vita primordiali, all’inizio della catena evolutiva. Ma allo stesso tempo raffinate perché capaci di ricorrere alla bellezza per dissimulare la loro fragilità e pericolosità.

Spesso i fiori hanno un ciclo vitale breve, per niente innocente o pacifico, e giungono alla morte, silenziosa e drammatica come la vita che hanno trascorso.

La bellezza e la purezza floreali sono inganni che possono essere svelati cogliendo all’improvviso le piante e i fiori quando il loro istinto dissimulatore è disarmato: la notte, usando improvvisamente il flash, oppure portando agli estremi i contrasti o la vicinanza.

Ferlinghetti: “La verità non è segreto di pochi”

Nota di apertura: questa poesia ha un complesso gioco di indentazioni che non è possibile rendere sulla pagina di WordPress. Per questo allego il PDF.

Questa serie di poesie fu scritta ascoltando brani Jazz e perciò le indentazioni raffigurano sulla pagina le pause e il ritmo della musica. Questo stile è caratteristico dei poeti Beats, che sono accusati in alcune scuole USA di essere espressione di sessismo, di maschilismo bianco e così via. Credo che vi sia un contorcimento culturale per cui quella che era una Jam musical- poetica che scandalizzò ai tempi proprio perché dava dignità culturale ed esistenziale alla musica “nera” per eccellenza, il Jazz, è divenuto un atto di imperialismo culturale repressivo. (Aggiunto successivamente alla prima pubblicazione).

“La verità non è il segreto di pochi”
eppure
magari ti verrebbe da pensarlo
per il modo in cui alcuni
bibliotecari
e ambasciatori culturali e
specialmente i direttori di museo
si comportano

ti verrebbe da pensare che ne detengono
il monopolio
da come
vanno in giro scuotendo
le teste altezzose con
l’aria di chi non deve mai andare
al gabinetto
eccetera

Ma non darei la colpa a loro
se fossi in voi
Si dice che lo Spirituale sia meglio concepito
in termini astratti
e quindi anche
girare per i musei mi fa sempre venire
voglia di
“calare”
tanto mi sento
stitico
ad
alta quota

Lawrence Ferlinghetti, A Coney Island of the Mind, minimum fax, 2018, Roma, pag.233-235, traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan

cari Maneskin

Avete spaccato con Beggin. Bravi: arrangiamenti perfetti, sesso, ritmo, voce giusta, video che funziona. Provocazione e citazioni come si deve. Siete bravi e avete indicato il rock a chi non lo ha mai conosciuto. Ma questa sera ho assistito a un evento che mi ha fatto capire una cosa.

Concerto rock di un gruppo di quattro donne: basso, batteria, chitarra ritmica e chitarra solista. Due a cantare: la batterista e la chitarra ritmica. Non erano eccezionali e forse il tecnico del suono non era un mostro per cui il tutto era spesso caotico. Hanno suonato diversi classici aprendo con due brani: Born to Be Wild e Paranoid. La miscela di acustica, suono, esecuzione musicale poteva essere fatale anche per quelle due canzoni ma non è stato così. A dispetto di tutto, i riff arrivavano dalla ferita pulsante del cuore umano che grida dolore, disperazione e desiderio di vivere e poi andavano dritti nella mente.

Perché gli autori delle canzoni erano immersi nella ferita della vita, nel centro di un cuore abbandonato da cui hanno tratto riff, ritmo, giro di basso e voce. E da quella tempesta rossa, violenta, indifesa e impietosa ci guardano dritto negli occhi. Cari Maneskin, siete bravi ma mi pare che siate fuori da quella tempesta. Dove è il suono essenziale che echeggia dal profondo delle spaccature del cuore pensante? Perché quelle musiche facevano tremare e commuovere anche se erano suonate da un gruppo di dilettanti, che brandivano impacciate le chitarre. Come le note di apertura della Quinta sinfonia di Beethoven, che non sono una melodia, non sono introdotte da alcun abbellimento o canone sinfonico ma vanno dritte al cuore del problema, senza mezzi termini, senza scuse o ammiccamenti. In tutti questi casi si tratta del risuonare del cuore umano che dal fondo della disperazione cerca un barlume di luce, costi quello che costi. E creare quelle musiche ha dei prezzi.

Il primo è estetico: non sono belli, curati o ricercati. Non hanno neanche la sofisticazione del suono sporco conservato, o costruito, in studio. Sono ruvidi ed essenziali. Scandalosi e brutali. Non ammiccano ma impietosamente si installano negli ascoltatori costringendoli a riconoscersi come assetati di vita e soli. Sono il condensato musicale dello Straniero di Camus.

Il secondo è esistenziale. Cantanti e autori hanno conosciuto la solitudine, la perdita della fama o la droga fino a rischiare la vita. La loro non è la musica che accarezza anche quando vuole essere provocatoria per conquistare pubblico e perciò il pubblico li lascia andare alla deriva.

Ma basta che una banda un po’ scalcinata inizi quelle canzoni che si accende qualcosa in chi li ascolta. Forse ricordano a tutti che “la tua anima non è morta”. Resta il fatto che risiedono in noi come se fossero sempre stati lì mentre cerchiamo di vivere senza impazzire.

Cari Maneskin, cosa resta dopo la vostra canzone? Una notte di sesso, con qualche mugolio di piacere o la soddisfazione compiaciuta per averlo fatto attenendosi al canone della trasgressione. Assaporando il sapore della stranezza fra le calde coltri del proprio lettuccio, nel sicuro della propria casuccia. Certi che oggi sarà come ieri e ogni cosa è al proprio posto e soprattutto lo scandalo della vita è dove deve essere: fuori dalla porta.

11 settembre, di nuovo

11 settembre: una data che sembra un abisso.

Ho vissuto da giovane la morte di Allende e Neruda. Più Neruda che Allende perché avevo letto le sue poesie. La dittatura successiva è stato un dolore ininterrotto.

Ho visto in diretta al crollo delle Torri gemelle. Non riesco a scordare quell’uomo che cade. Le fiamme e le strade spettrali.

La storia successiva è stata ed è condizionata da quell’evento. Temo che uno degli effetti profondi di quell’attentato sia il contributo alla radicalizzazione delle posizioni opposte.

Il terrore elimina la mediazione e la capacità di comprendere.

Per questo non mi sento di dire che una serie di morti mi appartenga e l’altra no. Faccio fatica ma non voglio che muri di terrore eretti in nome della “vera giustizia” spacchino la mia mente e giustifichino la volontà di potere che alberga in chi attenta alle istituzioni e alla vita delle persone comuni.