Prima di Natale ho assistito a una mostra di disegni, sculture e modellini fatti da alcuni carcerati della Casa Circondariale Lorusso e Cotugno di Torino. E’ stata un’esperienza molto coinvolgente. Ho visto delle opere eseguite con sensibilità e intelligenza, altre erano decisamente inquietanti; uno ha letto le proprie riflessioni sull’arte, confrontando la propria vita passata a quella presente e alle speranze per il futuro.
L’emozione dominante nel passato, sin dall’infanzia, individuata come la causa dei reati e la ragione ultima della loro incarcerazione, è la rabbia. Una rabbia forte, violenta e continua che come una crosta copriva un dolore altrettanto forte, continuo e irresolvibile. Nelle parole di chi narrava la propria biografia psicologica ed esistenziale c’era anche la scoperta che attraverso il disegno, lo studio l’individuo aveva la possibilità di conoscersi e di darsi una forma, un limite. L’arte e lo studio come via di conoscenza per trasformarsi e riscattarsi.
Ma anche una doppia riflessione: non coltivare la propria rabbia interiore e amare con delicatezza e intelligenza le giovani vite in modo da non renderle schiave della loro, e nostra, rabbia.