I fiori sono esseri viventi che non devono trarre in inganno. Ciò che noi umani chiamiamo bellezza floreale non sono altro che strategie di attacco, difesa: i colori e le forme dei petali sono inganni per gli insetti; i colori vivaci servono per spaventare. Le piante hanno perfino antipatie chimiche fra di loro per cui alcune non possono convivere nello stesso terreno con altre: una delle due muore.
Foglie carnose, steli puntuti, odori acri o dolciastri, liquidi amari secreti dagli steli, veleni trasformano il regno vegetale in un ambiente violento e ostile, vicino alle forme di vita primordiali, all’inizio della catena evolutiva. Ma allo stesso tempo raffinate perché capaci di ricorrere alla bellezza per dissimulare la loro fragilità e pericolosità.
Spesso i fiori hanno un ciclo vitale breve, per niente innocente o pacifico, e giungono alla morte, silenziosa e drammatica come la vita che hanno trascorso.
La bellezza e la purezza floreali sono inganni che possono essere svelati cogliendo all’improvviso le piante e i fiori quando il loro istinto dissimulatore è disarmato: la notte, usando improvvisamente il flash, oppure portando agli estremi i contrasti o la vicinanza.
Nota di apertura: questa poesia ha un complesso gioco di indentazioni che non è possibile rendere sulla pagina di WordPress. Per questo allego il PDF.
Questa serie di poesie fu scritta ascoltando brani Jazz e perciò le indentazioni raffigurano sulla pagina le pause e il ritmo della musica. Questo stile è caratteristico dei poeti Beats, che sono accusati in alcune scuole USA di essere espressione di sessismo, di maschilismo bianco e così via. Credo che vi sia un contorcimento culturale per cui quella che era una Jam musical- poetica che scandalizzò ai tempi proprio perché dava dignità culturale ed esistenziale alla musica “nera” per eccellenza, il Jazz, è divenuto un atto di imperialismo culturale repressivo. (Aggiunto successivamente alla prima pubblicazione).
“La verità non è il segreto di pochi” eppure magari ti verrebbe da pensarlo per il modo in cui alcuni bibliotecari e ambasciatori culturali e specialmente i direttori di museo si comportano
ti verrebbe da pensare che ne detengono il monopolio da come vanno in giro scuotendo le teste altezzose con l’aria di chi non deve mai andare al gabinetto eccetera
Ma non darei la colpa a loro se fossi in voi Si dice che lo Spirituale sia meglio concepito in termini astratti e quindi anche girare per i musei mi fa sempre venire voglia di “calare” tanto mi sento stitico ad alta quota
Lawrence Ferlinghetti, A Coney Island of the Mind, minimum fax, 2018, Roma, pag.233-235, traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan
Posso capire una grande quantità di cose, per esempio le canzoni di Adele o il neomelodico napoletano. Con una certa fatica arrivo anche a mettere a fuoco perché una persona scelga di partecipare alle trasmissioni della De Filippi.
Posso capire, anche se non divertirmi, vedendo alcuni film, per esempio La grande bellezza, Kill Bill, di cui posso apprezzare il valore estetico, per così dire, per quanto mi lascino freddino per i contenuti. Anche i film di Alvaro Vitali non sono così opachi.
Ma Elton John è un mistero totale. Inafferrabile. Ha fatto 5, credo, canzoni discrete che ripete da circa quaranta anni con varianti minime. Ha partecipato a Tommy. Come fa? Quali misteriose leve? Quale potere detiene nel mondo musicale inglese per avere ancora un posto nel circo musicale internazionale?
Ho letto che ha rimandato al 2023 il suo tour. Ma cosa canta?
Avete spaccato con Beggin. Bravi: arrangiamenti perfetti, sesso, ritmo, voce giusta, video che funziona. Provocazione e citazioni come si deve. Siete bravi e avete indicato il rock a chi non lo ha mai conosciuto. Ma questa sera ho assistito a un evento che mi ha fatto capire una cosa.
Concerto rock di un gruppo di quattro donne: basso, batteria, chitarra ritmica e chitarra solista. Due a cantare: la batterista e la chitarra ritmica. Non erano eccezionali e forse il tecnico del suono non era un mostro per cui il tutto era spesso caotico. Hanno suonato diversi classici aprendo con due brani: Born to Be Wild e Paranoid. La miscela di acustica, suono, esecuzione musicale poteva essere fatale anche per quelle due canzoni ma non è stato così. A dispetto di tutto, i riff arrivavano dalla ferita pulsante del cuore umano che grida dolore, disperazione e desiderio di vivere e poi andavano dritti nella mente.
Perché gli autori delle canzoni erano immersi nella ferita della vita, nel centro di un cuore abbandonato da cui hanno tratto riff, ritmo, giro di basso e voce. E da quella tempesta rossa, violenta, indifesa e impietosa ci guardano dritto negli occhi. Cari Maneskin, siete bravi ma mi pare che siate fuori da quella tempesta. Dove è il suono essenziale che echeggia dal profondo delle spaccature del cuore pensante? Perché quelle musiche facevano tremare e commuovere anche se erano suonate da un gruppo di dilettanti, che brandivano impacciate le chitarre. Come le note di apertura della Quinta sinfonia di Beethoven, che non sono una melodia, non sono introdotte da alcun abbellimento o canone sinfonico ma vanno dritte al cuore del problema, senza mezzi termini, senza scuse o ammiccamenti. In tutti questi casi si tratta del risuonare del cuore umano che dal fondo della disperazione cerca un barlume di luce, costi quello che costi. E creare quelle musiche ha dei prezzi.
Il primo è estetico: non sono belli, curati o ricercati. Non hanno neanche la sofisticazione del suono sporco conservato, o costruito, in studio. Sono ruvidi ed essenziali. Scandalosi e brutali. Non ammiccano ma impietosamente si installano negli ascoltatori costringendoli a riconoscersi come assetati di vita e soli. Sono il condensato musicale dello Stranierodi Camus.
Il secondo è esistenziale. Cantanti e autori hanno conosciuto la solitudine, la perdita della fama o la droga fino a rischiare la vita. La loro non è la musica che accarezza anche quando vuole essere provocatoria per conquistare pubblico e perciò il pubblico li lascia andare alla deriva.
Ma basta che una banda un po’ scalcinata inizi quelle canzoni che si accende qualcosa in chi li ascolta. Forse ricordano a tutti che “la tua anima non è morta”. Resta il fatto che risiedono in noi come se fossero sempre stati lì mentre cerchiamo di vivere senza impazzire.
Cari Maneskin, cosa resta dopo la vostra canzone? Una notte di sesso, con qualche mugolio di piacere o la soddisfazione compiaciuta per averlo fatto attenendosi al canone della trasgressione. Assaporando il sapore della stranezza fra le calde coltri del proprio lettuccio, nel sicuro della propria casuccia. Certi che oggi sarà come ieri e ogni cosa è al proprio posto e soprattutto lo scandalo della vita è dove deve essere: fuori dalla porta.
Ho vissuto da giovane la morte di Allende e Neruda. Più Neruda che Allende perché avevo letto le sue poesie. La dittatura successiva è stato un dolore ininterrotto.
Ho visto in diretta al crollo delle Torri gemelle. Non riesco a scordare quell’uomo che cade. Le fiamme e le strade spettrali.
La storia successiva è stata ed è condizionata da quell’evento. Temo che uno degli effetti profondi di quell’attentato sia il contributo alla radicalizzazione delle posizioni opposte.
Il terrore elimina la mediazione e la capacità di comprendere.
Per questo non mi sento di dire che una serie di morti mi appartenga e l’altra no. Faccio fatica ma non voglio che muri di terrore eretti in nome della “vera giustizia” spacchino la mia mente e giustifichino la volontà di potere che alberga in chi attenta alle istituzioni e alla vita delle persone comuni.
Quando avevo 11 o 12 anni pensavo alla morte, alla mia morte. Dell’essere morto mi dispiaceva non poter sapere cosa succedesse delle vite di parenti, amici, degli eventi politici dopo la mia morte. Mi chiedevo se non ci fosse un modo per sapere quello che non potevo sapere: magari i morti conservavano la facoltà della vista e dell’ascolto dei vivi. Ma la morte era proprio l’assenza di quelle facoltà.
Non avevo ipotesi metafisiche: nessun mondo ultraterreno, nessun dio a consolare, nessun mondo nascosto dietro la cortina della morte. Solo la consapevolezza di non poter più sapere cosa sarebbe accaduto dopo la mia morte. E del progressivo oblio degli amici.
Immaginavo di fingere la mia morte per guardare di nascosto il mio funerale.