Camminare sotto i portici, di notte. Non sembra più una città normale e accade qualcosa di inevitabile. C’è qualcosa di sospeso.
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la stazione di Porta Nuova
perché mi piace insegnare filosofia?
Quest’anno dovrò insegnare sociologia, psicologia, antropologia culturale e pedagogia riducendo la filosofia. Mi spiace ma colgo l’occasione per cercare di rispondere a una domanda banale che non ho mai affrontato davvero.
Perché insegno filosofia? Alcune circostanze storiche e casuali mi hanno portato a questo lavoro, ma poi ho scelto e scelgo di insegnare questa materia difficile a ragazze e ragazzi recalcitranti. Nella mia vita ho fatto diversi lavori che poi ho smesso, mentre quando si è trattato di insegnare filosofia mi sono fermato. Perché?
La prima risposta è che mi piace il linguaggio e parte della filosofia gioca e sguazza nel linguaggio, con l’etimologia, con i termini e le definizioni. Alle volte inventa etimologie.
La seconda è che molte delle mie letture filosofiche mi hanno emozionato e trasmesso delle conoscenze significative e spesso illuminanti. Nulla di facile o veloce ma anni di letture, di studio e di fatica. Per esempio, Kant. Al liceo avevo cercato di studiare Kant, dico cercato perché a 17/18 anni non puoi capire la Critica della ragio pura, la Critica della ragion pratica e men che meno la Critica del giudizio. L’unica cosa che mi ha fatto pensare del Kant del liceo è stata la sua capacità quasi ascetica di oggettivare i propri processi percettivi e mentali nella solitudine della propria stanza, tramite la scrittura. E allo stesso tempo di essere così profondamente in comunicazione con gli altri esseri umani. All’università sono passato attraverso la fatica della Pura per gli esami e poi mi è accaduta una illuminazione sulla deduzione trascendentale. Non so quanti anni dopo aver sentito per la prima volta il nome, ho compreso una cosa che ha scritto. E ne sono uscito trasformato.
La terza è che attraverso la filosofia sono coinvolto in uno scambio mentale con gli altri intimo e intenso. I concetti e i ragionamenti dei brani e dei manuali mi permettono di condividere un regno, un tessuto mentale di idee, concetti e significati che ci tiene assieme nelle differenze. Ma anche qualcosa di ulteriore: attraverso i ragionamenti e le parole “vedo” le persone con cui parlo, ne vedo la mind, per dirla in inglese.
Infine, gli studenti. Mi stupiscono positivamente. Ricordo frasi e concetti di molti. Per rompere il ghiaccio e iniziare a conoscere la classe che non conosco, all’inizio dell’anno chiedo cosa sia per loro la filosofia. E specifico che non voglio che mi ripetano quello che hanno studiato ma che cosa hanno elaborato personalmente di ciò che hanno, o non hanno, studiato. Una ragazza, diversi anni fa, mi lasciò senza parole quando rispose: “Per me la filosofia è un modo per entrare in relazione con la realtà”.
quando i bambini non andavano a scuola
Oggi faccio riferimento a un blog di storia che raccoglie immagini e link relativi ai bambini che non andavano a scuola, negli USA e in Italia. Molte le fonti statunitensi – Library of Congress e associazioni private e benefiche – poche quelle italiane.
Emoziona vedere immagini di bambini di 9, 10, 7 anni nei posti di lavoro per adulti. Alcuni sono in posizioni pensose, altri fissano stupiti verso la macchina fotografica. Alcune didascalie specificano l’ora di inizio del lavoro: le 6 del mattino. Documenti sulla durezza della vita in Occidente fino a non molti decenni fa.
In Italia si risale di circa 60 anni. Io ricordo che alcuni miei compagni delle medie non studiavano il pomeriggio perché lavoravano. Preferisco non soffermarmi su come venivano trattati fra le mura dell’aula. Un solo ricordo che dà l’idea: i bambini sedevano in tre colonne di banchi, considerandoli dalla cattadra: a sinistra la prole dei poveri, a destra i ragazzatti della piccola e media borghesia, al centro i rampolli dell’alta borghesia. E guai a cambiare di posto.
Comunque mi interessa altro. Il sito mi pare un ottimo esempio di uso delle fonti su internet che senza ricorrere a Wikipedia mostra fonti alternative. Attendibili.
Mi pare che questa operazione culturale sia ancora più importante perché estende la memoria digitale del mondo oltre gli anni Duemila, quando si è cominciato a mettere su internet “tutto”. La storia esiste da prima di Internet e inizia a essere disponibile per molti da poco.
Comunque oggi in molti luoghi della terra si parla di schiavitù infantile.
inizio anno scolastico
Oggi ho “preso servizio” nella scuola in cui sono stato trasferito dall’Ufficio scolastico dopo l’anno di prova a Pinerolo. Teoricamente è la scuola in cui potrei restare per anni. Uscito di casa sotto la pioggerellina, son salito in metropolitana ascoltando musica in cuffia e dopo neanche 30 minuti ero di fronte alla segreteria, avendo anche bevuto, con calma, un caffé in un bar.
Dopo 14 anni di precariato passati nelle scuole della provincia di Torino, sono stupito e quasi commosso. Ricordo un incarico annuale a Lanzo: sveglia alle 5 del mattino per tornare a Torino, ma non a casa, alle 15.00.
Good bye auto. Good bye autostrade. Anche se certi viaggi la mattina presto in autobus sono stati delle avventure dello spirito. Ma anche la metropolitana è on the road.
Like a rolling stone ovvero sulla strada per Giaveno
Quando vado a Giaveno in autobus ascolto Like a rolling stone, versione originale. Once upon a time ero sotto calde coperte, poi sono uscito di casa e chiudendo la porta ho ascoltato i respiri di mia moglie e mio figlio.
Non fa sempre freddo, quello pungente, e nella città iniziamo a respirare un’aria aperta. Gli altri che rotolano nel mattino hanno nostalgie più antiche delle mie. O almeno così mi pare.
Leslie Cameron Curry
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Inviato da iPhone
Andando a insegnare, parte 5
in questo anno scolastico
correre, gioia e sera
L’altra sera sono andato a prendere mio figlio dai nonni. Parcheggio vicino al marciapiede e poi salgo a casa. E’ sera e fa freddo. Scambio qualche parola con i nonni, che sono i miei genitori e quando è l’ora di andare si rifiuta. Vuole restare con il cugino; vuole la zia. Sopratutto non vuole tornare a casa.
Finalmente entriamo in ascensore. Schiaccia il pulsante del primo piano: “Così arriviamo al pianterreno a piedi.” Arrivati sul marciapiede mi chiede: “Posso correre papà?”. “Va bene, ma fai attenzione”. Corre sul marciapiedi, di sera alle 7, nel freddo, al buio per 10 metri e poi torna indietro. Corre in tondo. Ogni tanto si volta per guardarmi. Sorride felice con la fronte libera dalla frangia. Sorride e corre in tondo. Serio china la testa per vedersi i piedi mentre corre in tondo. Corre e basta. Corre per correre e sorride.
E’ felice, o almeno spero che lo sia. Mi scopro a pensare che forse accadrà mai più qualcosa di simile: correre perché le gambe vogliono correre, guardando papà e le scarpe.