domande che qui non ci facciamo

Si discute della mortalità scolastica, delle nefandezze degli studenti e della precarietà di molti docenti. Alcuni avventurosi chiedono se la “rivoluzione digitale” sia tutta nelle pagelle elettroniche. Le aule con le LIM restano inutilizzate in attesa della macerazione. Le case editrici spacciano per e-books la versione PDF dei libri cartacei o se producono qualcosa di originale lo vincolano a software proprietari che contraddicono qualsiasi progetto a lunga scadenza e così dimostrano la totale ignoranza della rivoluzione culturale e tecnica in corso.

Poi ci sono le domande che nella scuola italiana non sono formulate. Fortunatamente in altri luoghi dell’universo persone sagge e intelligenti le pongono e cercano delle risposte. Per esempio un articolo di Mashable chiede: quali sono i college più social? Una infografica che segnala quantità di follower, like e altre cose su Facebook, Twitter, Pinterest, Klout, Youtube, Google+. Ai primi tre posti troviamo: Stanford, Harvard, Luisiana State University. Per illuminare la profondità del fenomeno basta ricordare che Harvard è una delle università i testa nell’erogazione di corsi MOOC ma anche Stanford non è da meno.

Non so che altro dire. Forse che se esperienza e laurea fossero esportabili, penserei a cambiare luogo d’insegnamento.

Social media per elearning

Da un articolo del Learning Solution Magazine: i fondamentali dei social media per l’e-learning. Secondo l’autrice, Pam Boiros, tre sono le gambe su cui far stare in piedi l’uso dei social media nell’elearning:

  1. una piattaforma tecnologicamente evoluta;
  2. una comunità viva;
  3. contenuti di qualità.

Ma poi aggiunge altri usi interessanti dei social media:

  1. evitare il sovraccarico informativo: una comunità attiva permette di selezionare le informazioni ridondanti, infondate etc;
  2. creare una comunità di esperti, e aggiungerei tendenzialmente paritetica;
  3. intercettare la conoscenza tacita, implicita.

Ne indica anche altri, ma questi tre punti mi paiono interessanti per capire cosa può accadere quando si uniscono social media e apprendimento: il ruolo di chi insegna si ridimensiona perché la comunità è in grado di trattare i sovraccarichi informativi autonomamente e senza la guida dall’alto di un docente; l’equiparazione dei membri della comunità coinvolti in una dinamica di miglioramento delle proprie competenze/conoscenze per proteggere/costruire la propria reputazione di fronte ai pari; infine l’emergere delle conoscenza tacita.

Nella mia, piccola, esperienza, il passaggio più difficile, è proprio la formazione di una comunità online. Da un lato il contesto scolastico non aiuta: mutare il ruolo del professore che spiega e dà voti non è facile; dall’altra allacciare relazioni richiede tempo e motivazioni. Quale motivazione può portare degli studenti a diventare una comunità online?