errori da evitare nei corsi online

Una tipologia di articoli sono gli elenchi do/don’t, ovvero cosa fare e cosa evitare. In questo articolo della WizIq.com sono elencati 12 errori tipici nell’organizzazione e della gestione dei corsi online.

A essere sincero, mi pare di averli fatti quasi tutti almeno una volta. Li elenco e traduco sinteticamente dal sito originale.

NON progettare la classe online come un corso a ostacoli

Gli studenti devono sapere una grande quantità di cose, quando iniziano un corso online. Spesso le finalità, gli strumenti e le risorse non sono chiare e perciò gli studenti si trovano impegnati in un faticoso percorso a ostacoli costituti da indicazioni imprecise, funzioni ignote. Suggerimento per chi progetta un corso online per la prima volta: fatelo usare da parenti e amici prendendo seriamente le loro osservazioni.

NON preparare test perché gli studenti falliscano

Le valutazioni sono come gli scalini di una scala che conduce al successo. Preparare delle verifiche che solo pochi possono superare significa essere ingiusti e non permettere a nessuno di capire i propri progressi e i propri punti deboli.

NON minimizzare le scelte o punire l’interazione degli studenti

I docenti siano consapevoli delle due condizioni all’origine di un apprendimento online produttivo:

  • la percezione di essere liberi di seguire il proprio processo di apprendimento;
  • la percezione di appartenere a una comunità impegnata nel processo di apprendimento.

Quindi evitare di:

  • sovraccaricare di regole e divieti il corso;
  • svalutare le modalità espressive individuali, per esempio non tutti sono portati per la scrittura e molti preferiscono creare dei filmati;
  • vietare riferimenti all’esperienza soggettiva nei forum a tema.

NON rifiutare di rispondere alle domande degli studenti

Senza dubbio arriverà la mail o l’intervento che chiede per l’ennesima volta chiarimenti su ciò che è in bell’evidenza nella prima pagina del corso. E si avrà la tentazione di non rispondere. Ma non rispondendo si perde per sempre la possibilità di stabilire una relazione diretta con chi ha posto la domanda.

NON dare agli studenti l’impressione di essere male accolti

Sembra banale, ma le piattaforme di elearning nascondono molti modi per far sentire escluse le persone:

  • scrivere un lungo elenco di restrizioni relative ai rapporti fra studenti e docente;
  • escludere la chat durante le sessioni sincrone;
  • non mettere un forum o una discussione introduttiva;
  • scordare di aggiungere una slide di benvenuto nella Classe Virtuale;
  • arrivare in ritardo alla Classe Virtuale, sopratutto se non si è messa la slide di benvenuto;
  • dimenticare di salutare i ritardatari anche se si dispone della chat;
  • rispondere a voce alle persone nella Classe Virtuale che non possono sentire e non usare la chat;
  • rimproverare gli studenti in pubblico;
  • criticare gli studenti e dimenticare di farcire le critiche con complimenti e incoraggiamenti.

NON assentarsi dalla classe online

Essere presenti per tutta la durata del corso. Una assenza richiede mesi per essere recuperata e toglie credibilità all’intero corso.

NON monopolizzare la conversazione

L’opposto della precedente: docente che risponde a ogni intervento degli studenti, li intimidisce e chiude gli spazi di scambio e condivisione. Una classe online è una comunità composta da più voci e con diverse sfumature che il docente deve lasciare libere di esprimersi e di trovarsi.

NON ignorare chi resta indietro

In qualsiasi classe c’è chi resta indietro che può essere individuato con i report dei collegamenti alla piattaforma e degli interventi nei forum, le verifiche. In questi casi evitare interventi duri o pubblici e chiedere con un messaggio personale se c’è qualche problema: difficoltà, ostacoli. La persona sarà grata.

NON spiegare la piattaforma ai docenti ospiti o agli studenti

Può accadere che non si spieghi, per diversi motivi, a un docente ospite o a uno studente incaricati di effettuare una relazione la piattaforma e che quindi questi siano gettati nell’arena della classe online senza una preparazione adeguata. In questi casi i relatori perdono del tempo a capire le funzioni della classe online, generando irritazione e scoraggiamento negli altri.

NON ignorare i feedback sulle proprie attività

NON presupporre che la propria conoscenza non debba essere rinnovata

NON presupporre di non avere nulla da imparare da corsi online di altri docenti

Tre indicazioni brevi:

  • chiedere, e ascoltare, una valutazione agli studenti, domande chiare, precise e brevi;
  • aggiornarsi, leggere, ascoltare le lezioni di colleghi, cercare su youtube;
  • frequentare corsi di aggiornamento per mantenere l’entusiasmo e la curiosità.

Daniel Dennett su critical thinking

Il filosofo Daniel Dennett formula 7 consigli per esercitare il critical thinking. Riporto i titoli con una sintetica traduzione della spiegazione di Dennett.

Usare i propri errori

Onestà intellettuale, autoesame e procedimento per tentativi ed errori. Quando si sbaglia, occorre esaminare il proprio ragionamento a denti stretti, ovverro impietosamente.

Rispettare il proprio avversario

Detto anche “buona fede” o “essere caritatevole”. E’ un richiamo retorico più che logico, ovvero ha lo scopo di coinvolgere le persone. Aggiungo io: nessun argomento ad hominem.

La trombetta del “sicuramente”

La parola “sicuramente” è un segnale d’allarme retorico che avvisa che il parlante sta dicendo una verità accettata, apparentemente plausibile ma esaminata poco e male, sperando che chi legge o ascolta la accetti senza sollevare problemi.

Rispondere alle domande retoriche

Una domanda retorica può essere un sostituto del pensiero e si regge sull’assunto che sarebbe troppo imbarazzante rispondere. Ma è una buona occasione per esaminare i propri preuspposti.

Ricorrere al Rasoio di Occam

Il filosofo medioevale Guglielmo da Occam ha prestato il suo nome a questo principio di economia nel ragionamento. La formulazione più nota è “non moltiplicare gli enti oltre necessità” quando cercano spiegazioni. Ma non è sua, per quanto efficace. In italiano, in inglese.

Non sprecare tempo con la spazzatura

Il 90% delle argomentazione sono sciocchezze (crap).

Fare attenzione alla ‘profondità’

Il termine inglese usato da Dennett è “deepity,” a sua volto ripreso dallo studioso di computer Joseph Weizenbaum. Una deepity è “una proposizione che sembra sia importante sia vera – e profonda – ma che deve questo effetto alla sua ambiguità.” La devozione alla chiarezza di Dennett a questo punto divide i suoi lettori in due: gli uni che ammirano la sua chiarezza come espressione di etica analitica; gli altri che sostengono che è ingiusto verso metafisici, mistici, teologi, poeti e filosofi postmoderni.

lottare per insegnare online

Ho appena letto su The Chronicle of Higher Education un articolo sui “rischi dell’insegnamento online” che narra le disavventure di un docente americano che, come me, lotta per insegnare online. Ritrovo quasi tutti gli ostacoli contro cui mi sono scontrato negli anni:

  • le resistenze degli studenti, che non sanno come agire in ambienti che non siano Facebook;
  • la valanga di domande tecniche da risolvere che tolgono tempo alla didattica;
  • la necessità di preparare materiale e corsi con grande anticipo;
  • la necessità di imporsi dei limiti sia temporali sia di ambizioni: per esempio data una classe di 25 persone, se si assegna a ogni studente il compito di scrivere almeno due post, si dovranno leggere almeno 50 messaggi!

Perciò due indicazioni generali:

  1. Keep it simple! Ovvero meglio semplice e fattibile che articolato e irraggiungiungibile.
  2. Avere il coraggio di cambiare: ogni classe, ogni studente fa storia a sé. E ogni anno si deve ricomciare, non proprio da zero ma quasi. Come se si ripartisse da zero.

storia di internet e coursera

Dall’inizio di agosto frequento un corso online, gratuito, organizzato da www.coursera.org sul tema Internet, History and Security, tenuto dal Prof. Severance dell’Università del Michigan. L’esperienza è interessante da diversi punti di vista.

Un dato mi ha emozionato, i partecipanti: 40.000 iscritti; partecipanti alla prima settimana 10.000; prima prova consegnata 5.800 circa. Gli iscritti sono di tutte le nazioni, età, culture e religioni: Ghana, Malesia, Iran, Brasile, Italia, USA. Le ragioni per cui partecipano sono le più diverse: un ragazzo malese di 18 anni è stato in prigione e vuole dimostrare che può riscattarsi, gli anziani vogliono tenere la mente sveglia e allenata, molti vogliono “capire come funziona intenet”.

E’ la prima volta che sperimento direttamente la capacità di internet di condividere conoscenza, esperienze al di là di culture, idee, nazioni, regimi politici. Neanche Facebook mi ha mai fatto sperimentare ciò perché ognuno costruisce, anche inconsapevolmente, una rete di amicizie a propria immagine e somiglianza: pur avendo, poniamo, 1000 amici, posta regolarmente con 20, che sceglie.

Il Prof. Severance mette a disposizione materiale, interessante, affidabile e originale. Le lezioni consistono di filmati in cui discute gli eventi documentando sempre con rigore ogni affermazione significativa ed esplicitando la sua posizione, che invita a discutere e criticare nei forum.

Mi è venuto spontaneo confrontare questo corso con la situazione in Italia. Ho sicuramente una conoscenza parziale del sistema universitario italiano; conosco alcune esperienze importanti e ho partecipato a corsi tenuti dall’Università della Tuscia. Tuttavia mi pare che non ci sia nulla di paragonabile. Rimanderei l’analisi delle ragioni di questa differenza, tuttavia mi pare di poter dire una cosa: organizzare una serie di corsi gratuiti online su svariati argomenti – fisica, internet, musica, logica, neuroscienze – presuppone una mentalità democratica, aperta che in Italia non esiste. La democrazia per radicarsi nei pensieri e nei comportamenti delle persone – uomini e donne – richiede tempo, esperienze, cultura, istruzione. E l’Italia deve ancora farne di strada.

tecnologia, didattica e critical thinking

Ho letto l’articolo di Marco Dominici La lunga (e faticosa) strada delle tecnologie nella didattica e trovo diversi argomenti interessanti, per me due sono cruciali:

  1. perché i docenti non usano la tecnologia per insegnare.
  2. l’uso della tecnologia nella didattica è legato al pensiero critico.

Perché i docenti non usano la tecnologia per insegnare? Concordo con la tesi di Dominici: paura ovvero tecnofobia. Nelle diverse scuole in cui ho lavorato, incontro sempre degli irriducibili i quali non sapendo usare un word processor scrivono a mano relazioni che la segreteria “rende digitali”; i quali non sapendo scaricare un file dalla rete, chiedono aiuto per stampare il cedolino in PDF messo a disposizione dal Ministero. Per costoro Facebook è un pericoloso mistero; la LIM una novità senza senso;  internet peggiora la cultura e così via.

Sono dei dinosauri in via di estinzione? Non lo so, ma deridere o compatire chi si comporta come i Dodo dell’Era glaciale non è la soluzione. Come diceva Spinoza, occorre comprendere. Con costoro avvierei una discussione proponendo che storicamente nel contesto vitale dell’uomo la tecnica ha un ruolo centrale: accendere un fuoco è una tecnica, uccidere gli animali con un sasso appositamente scheggiato è una tecnica. Per analogia, la lavagna è una tecnologia comunicativa, forse rudimentale, ma comunque tecnologia dalle molte implicazioni e implicature, esattamente come la LIM. Certamente usare la LIM obbliga a cambiare modo di lavorare, a mettersi in discussione come docenti, ad aggiornarsi. Ma in gioco c’è la relazione fra studenti e docenti che si articolo come digital use divide, seprazione nell’uso del digitale. Da un lato del tavolo da gioco abbiamo i giovani che usano istintivamente tecnologie digitali ma riducono  internet a Facebook, pensano di conoscere youtube perché “fanno click” sul pulsante di avvio del filmato; dall’altro lato abbiamo docenti che maneggiano a fatica la posta elettronica, sventolano rischi spesso inesistenti o ingigantiti. Ma non occorre esasperare questa distanza, perché neanche gli studenti si lanciano entusiasti su tablet, iPad, lettori di ebook o sull’elearning. Il risulato è che la scuola non è in grado di preparare le persone a vivere nel presente e poi nel futuro. Ovvero i ragazzi non sanno come imparare. E lo si tocca con mano quando si tratta di effettuare una ricerca sul web, valutando la credibilità delle fonti o usare wikipedia come la nuova fonte certa di verità.

Con questo mi collego al secondo punto.

Il secondo punto interessante è il pensiero critico – critical thinking – di cui ho iniziato a occuparmi anche in riferimento all’uso delle tecnologie dell’insegnamento per la scuola del futuro. Mi fa piacere essere sulla strada giusta e non essere da solo.

scuola per il futuro e critical thinking

In un altro post ho scritto di “narrare il futuro ai giovani” come compito dei docenti per accendere interesse e scambiare conoscenza con gli studenti, come riporta Luca De Biase a proposito dell’incontro “Internet e democrazia” tenutosi alla Fondazione Basso il 20 aprile 2012.

Mentre riflettevo sull’affermazione “narrare il futuro ai giovani”, del tutto casualmente mi sono imbattuto in un sito – Edutopia – che ho scoperto essere la fondazione educativa di George Lukas. Come nello spirito visionario del fondatore, Edutopia propone idee per la scuola del XXI secolo. Il documento, ricco di proposte, esposte nello stile americano “7 Steps” che uniscono le “4 C” e le “3 R”, ha una finalità operativa: cosa e come valutare se una scuola è proiettata verso il futuro. Le 4 C, riportate in inglese sono:

  • Critical thinking;
  • Communication;
  • Collaboration;
  • Creativity.

Mi fermo qui nell’elenco delle lettere e mi concentro sulla prima delle 4 C: il pensiero critico (in inglese). E’ un metodo che unisce analisi dell’argomentazione, sostegno scientifico nella discussione, individuazione dei pregiudizi personali e ascolto partecipato dell’altro. Il critical thinking, che ha un collegamento con il debunking (demistificare affermazioni fanatiche, fantasiose, non fondate) riscuote un certo successo nel Nord America (Canada e USA) ed è quanto di più vicino alla filosofia troviamo nelle scuole di quei paesi. E’ evidente l’impronta del Pragmatismo e della filosofia analitica; la descrizione del link cita Socrate quale padre nobile e con molte buone ragioni. L’intenzione di fondo del Critical Thinking è migliorare il senso critico degli studenti che escono dalle scuole superiori diplomati ma senza capacità d’analisi delle argomentazioni, con una buona dose di ingenua credulità, un certo dogmatismo nel giudizio, uno pizzico di scetticismo irragionevole e scarsa attitudine all’ascolto.

In Italia non mi pare conosciuto o praticato. Anni fa ho trovato il Piccolo manuale di autodifesa intellettuale di Baillargeon (Recensioni filosofiche) e recentemente Strumenti per ragionare di Boniolo e Vidali, con sito, anche se non strettamente su critical thinking. Certamente, a leggere i documenti sulle finalità dell’insegnamento della filosofia nelle scuole secondarie troviamo molte nobili dichiarazioni: formare cittadini consapevoli, critici, competenti. Tuttavia i residui dell’impianto Idealistico e Storicistico nell’insegnamento, che riducono la filosofia a quella serie di medaglioni che sono i Grandi Filosofi, e la poca frequentazione del pensiero scientifico non favoriscono il critical thinking.

Per approfondire l’argomento e sperando nella pratica dei colleghi, faccio una ricerca su Google che mi restituisce siti di critica sociale e politica. L’espressione “pensiero critico” in Italia sembra essere associata principalmente alla Teoria critica della Scuola di Francoforte, la quale non aveva una buona opinione della scienza.

Quello che mi interessa, è che con il pensiero critico la didattica ruota attorno al problem solving e non più attorno al professore che riversa ciò che sa nella mente degli studenti. Educando alla complessità. Quello che rende interessante il critical thinking è:

  1. il presupposto costruttivista, che permette di accostarlo all’elearning e in generale alle forme di apprendimento sociale e condiviso;
  2. la pratica di ricerca comune, che implica una revisione del ruolo del docente;
  3. l’attenzione alle strutture logiche e argomentative dei testi;
  4. l’uso di conoscenze e metodi anche scientifici, che in Italia sono alquanto negletti.

Per queste ragioni mi pare che possa essere un metodo di insegnamento che permette anche di individuare dei riferimenti per la valutazione, sia degli studenti sia dei docenti.

value added analysis

Partito da un articolo sul Dipartimento municipale per l’educazione di New York che ha pubblicato le valutazioni dei 18.000 docenti delle scuole della città, sono arrivato a scoprire un criterio di valutazione dell’attività degli insegnanti: la value-added analysis, analisi del valore aggiunto. Riprende analisi di tipo economico ed è stata formulata esplicitamente per la prima volta nel 1971 da Eric Hanushek. Questo metodo calcola l’aspettativa di rendimento sulla base dell’andamento di uno studente nell’anno precedente e confronta tale aspettativa con la variazione successiva all’intervento di un nuovo docente l’anno successivo. Se la variazione è positiva, l’intervento ha aggiunto valore; se negativa, l’intervento ha sottratto valore. Buono è il docente che aumenta il valore dei risultati degli studenti; cattivo il docente che riduce il valore delle prove degli studenti. Semplice ed essenziale. Ma, come avvisano anche i suoi sostenitori, la value added analysis è solo uno dei criteri di valutazione dell’operato di un insegnante. Altri possono essere il clima di classe, la qualità della classe, la strutturazione e la codificazione di test condivisi. Inoltre non permette di valutare se il livello della prestazione è desiderabile o soddisfacente.

Assodato ciò, vorrei svolgere delle riflessioni, tenendo anche conto che fare riferimento a un criterio di valutazione serve per capire la qualità del lavoro che sto facendo.

Possiamo dire che un docente è positivo nella misura in cui porta un miglioramento, una crescita nei risultati degli studenti. Definirei i docenti “autori di cambiamento”. Scelgo il termine “autore” perché ha la stessa radice latina e indoeuropea di “augusto” che significa: “forza” e anche che “fa crescere”; che “aumenta”; che “migliora”. I docenti sono autori perché fanno crescere, non perché producono un oggetto materiale. Autorevole è l’insegnante che fa fiorire mettendo in campo una forza che fa crescere, che genera valore.

Questa “forza” innesca e si inserisce in un processo di cambiamento complesso. Quindi “analisi del valore aggiunto”, significa analisi del processo che aumenta il valore delle prestazioni dello studente e così valorizza la persona. L’indeterminatezza del significato di “valore”, a questo punto, desta perplessità. Secondo la value added analysys, il significato primo e immediato è quello legato alla valutazione numerica, negli USA alfabetica. L’assunto generale è: “Valore è il voto che ti dò. Se ti dò un voto maggiore della tua tendenza, abbiamo attivato un circolo virtuoso.” Allora “valore” non è solo “voto più alto” ma segno di una realizzazione comune che l’insegnante ha contribuito a far fiorire e a cui lo studente ha collaborato. In questo senso il voto è da un lato la valutazione conclusiva di un aumento delle conoscenze e di uno sviluppo di competenze e dall’altro una tappa nel processo di valorizzazione dell’opera in corso di realizzazione nell’aula, nelle menti e nella sensibilità delle persone cui insegno.

blending e opinione pubblica – 2

A volte ritornano e io ritorno con una breve descrizione del corso su Kant e opinione pubblica che ho allesitito per una quinta superiore, anche perché alcuni lettori mi hanno chiesto di essere aggiornati.

Ho aggiunto alcuni documenti, in particolare dei filmati preparati da me sull’opinione pubblica e su alcuni concetti base: opinione pubblica come giudizio espresso dalla società civile la quale non è né la vita privata né la vita istituzionale. Con un caso di serendipity ho trovato un intervento del Presidente dell’ISTAT, Enrico Giovannini: Numeri e democrazia, che è molto interessante e pertinente.

Inoltre mi sono ricordato di una scena di un film molto bello: Forrest Gump. La scena in cui Jenny, la compagna di scuola di Forrest, incita Forrest a correre per non essere picchiato da dei bulli e correndo Forrest rompe i tutori alle gambe. L’ho aggiunta a quelle serie perché secondo me rappresenta molto bene cosa significhi liberarsi da quelle catene che sono i tutori che impediscono i movimenti e ingoffiscono il corpo e la mente. La corsa con cui Forrest si affranca mi ha fatto pensare a quanto liberarsi dalle tutele inadeguate e inopportune liberi dal risentimento, dall’autocompiacimento e dalla violenza.

Ho messo tutto nella pagina del corso e ho avvisato la classe con una mail. Ora aspetto qualche reazione. Nel frattempo ho sbirciato nei log e ho scoperto che alcuni studenti sono entrati nel corso, hanno deambulato fra le risorse messe a disposizione e visto qualche filmato. Nessuno ha scritto nulla.

Resto in attesa.

blending e opinione pubblica

Fra poco inizierò a trattare in e-learning un breve testo di Kant “Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?” È un testo fondamentale per la nascita dell’opinione pubblica. Poi i libri di storia e italiano spesso ne citano la frase iniziale perché efficace ed elevata. Lo riporto:

L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità di cui egli stesso è colpevole. Minorità è l’incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro. Colpevole è questa minorità, se la sua causa non dipende da un difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi di essa senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! Questo dunque è il motto dell’illuminismo.

Le successive analisi di Kant, però, sono regolarmente tralasciate e la loro semplice grandezza viene accartocciata in una formuletta memorizzata per l’interrogazione. La domanda cruciale – come si fa a uscire dalla condizione di minorità? – non è neanche sfiorata. In fondo è molto più rassicurante fare riferimento a un generico appello all’autonomia della ragione che leggere di tutori che nella loro interessata benevolenza spaventano e castrano coloro che hanno sotto tutela così da poterne avere il denaro. E nel breve elenco dei tutori interessati al denaro dei propri tutelati troviamo i dottori, i preti e anche i maestri. Ci credo che i professori lo tralascino.

Ho intenzione di trattarlo principalmente su internet perché è il luogo in cui si formano le idee, si condividono e si distribuiscono le conoscenze che danno forma e forza al dibattito pubblico.

Ne ho parlato in classe prima delle vacanze natalizie e per questo la definisco blended. Il primo obiettivo del corso è accertare se la distinzione fra uso pubblico e uso privato della ragione sia valida ed entro quali limiti. Perciò metto a disposizione dei ragazzi sia dei link a parti del corso online Federica Web Learning sulla Comunicazione Politica organizzato dalla Prof.ssa Rosanna De Rosa, docente di Comunicazione Politica presso la Facoltà di Sociologia dell’Università Federico II, sia dei miei filmati con in quali illustro alcuni concetti base. A breve aggiungerò qualcosa di Levy e sul Web 2.0. I ragazzi dovrebbero produrre un documento – testo, presentazione, filmato, audio – nel quale espongono le loro tesi.

In una prima ipotesi, avevo voluto approdare a Mill e alla sua opera On Liberty e fare riferimento agli open data. Ma sarebbe stato troppo.

organizzare un corso

Come organizzare un corso? In teoria so come fare: ho studiato diligentemente ciò che mi hanno detto sulla pedagogia costruttivista, sui learning object, sul tutoraggio e tutto il resto. Ma quando sei di fronte alla pagina da popolare di attività, link e altro per definire un percorso è tutta un’altra cosa.

La prima cosa che ho fatto è stato il tipico errore del novellino: ho scritto e spiegato a parole. Box di testo, che, mi accorgo ora, nessuno leggerà mai! E pensare che lo avevo letto in diversi libri, articoli, nei forum e nei blog: non scrivete troppo. Ma ci sono cascato come un allocco. Ma ora sto imparando a trattenermi e sostituisco le parole scritte con una lezione in aula multimediale, magari con la LIM per introdurre i ragazzi alla piattaforma. Mi diverto a usare la lavagna, i ragazzi scambiano battute e spero che famigliarizzino con la cosa.

Ma la pagina da popolare resta: da cosa partire? E come organizzare? Sto scoprendo che è bene cominciare dalla fine, ovvero da ciò che voglio i ragazzi producano: un testo, una tabella, dei test. In alcuni casi prendo ispirazione da domande che raccolgo da diverse fonti, in altri casi riprendo altro materiale.

Ma non devo insistere troppo sui test e sui quiz perché i ragazzi si spavenatono. Allora sono passato ai filmati e ho riscoperto Roberto Rossellini e la sua opera La lotta dell’uomo per la sopravvivenza e in particolare Cartesius. Ma non basta mettere a disposizione un filmato: occorre che i ragazzi facciano. Usare i filmati come spunto per la riflessione e poi passare al testo in classe?