ciclo scolastico

È una questione di calendario molto semplice: a settembre iniziano le scuole. È cosa che ciclicamente suscita curiosità.

Tutta roba prevista e nota.

Eppure ogni anno i docenti si chiedono come saranno gli studenti, rivedono gli argomenti e poi si chiedono se, come, quando e con quali risultati.

Cioè ogni anno i docenti ci provano, ci credono. Cioè ogni anno ricominciare non è solo una questione di calendario, di tempo che scandisce i suoi impegni. Non si ricomincia tutti gli anni ma a ogni anno si inizia come se fosse la prima volta.

Insegnare filosofia, di nuovo

Niente da fare è difficile. Uno può partire dal web, dal libro di testo, dai testi originali o dalla vetusta “lezione frontale”, che poi è quella ancora largamente usata dai colleghi, quale sia la strada intrapresa alla fine resta uns domanda dal sapore amaro: fra le pagine chiare e le pagine scure, di tutta la saggezza e la follia dei filosofia, delle parole liberatorie e prigioniere, delle analogie imprigionate, cosa resta di tutto ciò, e dell’altro che c’è stato, nella persone a cui ho parlato e con cui ho discusso per anni? 

Quando saranno nel momento cruciale della scelta, quando sarà difficile districarsi fra le possibilità da cui dipenderà il loro destino, quando le parole sembrare ed essere avranno un significato molto reale, ci sarà ancora anche una sola delle parole che ci siamo scambiati?

corsi per tante persone di tante parti del mondo

Ho partecipato a un corso MOOC organizzato da Coursera sulla storia di internet. L’esperienza è stata coinvolgente e interessante.

Ora apprendo da un tweet di Eleonora Pantò di un articolo del New York Times che descrive il fenomeno riportando che i MOOC sono in crescita. Questi tipo di corsi sono diversi dagli open courseware delle università o dai filmati su Khan, perché sono pensati come veri e propri corsi universitari destinati appositamente a una grande quantità di persone di tutto il mondo, con esercitazioni, test, hangout su Google. Non sono solo i video di lezioni dal vivo.

Certamente pongono dei problemi: copiare è facile; i professori devono eliminare l’interazione con gli studenti, data la massa dei partecipanti. Nondimeno i docenti mettono a disposizione documenti di qualità; i corsi sono strutturati rigorosamente; partecipanti di stesse zone geografiche si incontrano anche nella vita reale. Il New York Times si lancia in un paragone con i social network tipo Facebook per il social mood che li anima.

Il corso che ho frequentato, inoltre, mi ha permesso di fare un’esperienza importante per il mio mestiere di docente: la peer review. Per sopperire alle difficoltà legate alla correzione di alcune prove si ricorre alla peer review, che risulta essere rigorosa quanto quella dei docenti universitari. Esperienza importante perché leggere per correggere, senza risultare offensivo, dei testi scritti da sconosciuti che abitano in chissà quale parte del mondo, è molto impegnativo. Si impara una forma di rigoroso rispetto educativo che la tradizionale lezione in aula uccide.

Detto ciò, taccio sul panorama dell’educazione online in Italia.

come la scuola può usare wikipedia

Quando si tocca l’argomento Wikipedia in qualche modo si sa di cosa si parlerà: dibattiti sull’attendibilità degli articoli; diffidenza verso articoli scritti da sconosciuti; dubbi sulle fonti dei finanziamenti. Argomenti tutti leciti e comprensibili.

Inoltre uno studio sull’uso di Wikipedia mostra dati poco gradevoli per l’idea della costruzione sociale della conoscenza: pochi redattori delle voci; scarsa attitudine alla verifica delle fonti; pigrizia nella ricerca di informazioni oltre Wikipedia.

Ma per comprendere eventi e processi occorre cambiare prospettiva. Wikipedia, pur ammettendo i difetti e limiti, parte da un presupposto diverso: le persone, normali aggiungerei, sono i soggetti attivi nella produzione della conoscenza. Perciò non basta constatare la parzialità delle voci, l’incapacità degli studenti a cercare e verificare fonti. Se le persone non verificano le fonti occorre mostrare loro come si fa; se ci sono pochi redattori, occorre far fare l’esperienza di essere redattori. Leggo, dal sito Wikipedia, dell’esistenza di un progetto – Wikipedia Education Program – che dal 2010 coinvolge università di diverse nazioni. Gli studenti, assieme ai docenti, leggono, verificano, criticano gli articoli di Wikipedia. I dati riportati sono interessanti: più del 70% degli studenti ritiene questa attività più interessante e coinvolgente delle attività didattiche tradizionali; scrivere in inglese migliora l’uso della lingua; le ricerche sono effettuate in collaborazione con i docenti. La qualità degli articoli, valutata in base a linguaggio, presenza di fonti, informazioni documentate, è aumentata. Forse una buona soluzione.

Sopratutto, un modo di lavorare che implica un diverso modo di accostarsi alla conoscenza e alla sua produzione: studenti e docenti ora contribuiscono agli articoli; non sono solo lettori passivi ma produttori attivi. Come portare nelle scuole, e fra i docenti italiani, questo modo di agire e di studiare?

certe affermazioni

Certe affermazioni mi lasciano senza parole. E credo che questo disorientamento sia capitato a tutti nella vita almeno una volta. La scuola è spesso citata per una certa arretratezze e parlando con persone che lavorano in altri ambienti noto la differenza. Ne soffro ma cerco di tirare avanti rubando argomenti e idee da riproporre in caso di discussioni o da usare nei momenti di maggior sconforto.

Capita, tuttavia, di sentire affermazioni cui non so cosa rispondere, ma che illuminano atteggiamenti altrimenti incomprensibili. Una volta una collega mi ha detto:

“Non vado su Facebook perché è inutile”

Non nel senso che è inutile che lei vada su Facebook perché non trova ciò che lei vorrebbe. Non era un’affermazione su di sé. Il significato è “Facebook è inutile, quindi non ci vado”. Era un giudizio sul mondo.

Sono rimasto senza parole. Ho abbozzato una frase del tipo Un fenomeno che coinvolge centinaia di milioni di persone… ma non era una risposta adeguata. In fondo quante cose prive di utilità hanno fatto, fanno e faranno gli uomini e le donne? Tante quante sono i post che quotidinamente un miliardo di persone lancia su Facebook.

Era una affermazione a suo modo nuova. Ho sentito che Facebook è immorale, pericoloso, sfogatoio di persone socialmente problematiche. Ma inutile mai. Agli occhi di questa persona i cinesi che vorrebbero accedere al social network non di stato e libero sono incomprensibili; le donne dei paesi arabi che postano messaggi sono delle illuse. Ma anche io che spedisco link, commenti e fotografie con gli amici sono irretito in una specie di velo di Maya.

Questo non mi turba troppo. Quello che mi chiedo è un’altra cosa: che giudizio dà questa persona degli studenti, il 99% dei quali ha un account Facebook?

lottare per insegnare online – seconda parte

Altre domande.

Come sapete ambisco a usare l’elearning per insegnare, non ostante le difficoltà, e per realizzare questa ambizione ricorro al servizio di un’università australiana che offre gratuitamente la piattaforma Moodle. Anni fa ho inviato una mail e mi hanno assegnato una url cui posso accedere come amministratore e creare corsi, invitare persone, gestire utenti. Insomma fare quelle cose che fanno coloro che per insegnare progettano anche corsi online.

Conoscendo il contesto della scuola, a ogni nuova scuola avviso e aspetto il feed-back. Cosa che ho fatto anche quest’anno. Come al solito mi hanno detto di aspettare una specie di liberatoria dalla presidenza, prima di accennare anche solo la cosa agli studenti.

A questo punto le domande:

  1. se preparo delle fotocopie o disegno degli schemi alla lavagna, ne devo informare la scuola e aspettare una sorta di consenso?
  2. se dicessi ai miei studenti di fare una ricerca su internet, ne devo dare comunicazione alla scuola e aspettare una sorta di consenso?
  3. se dico ai ragazzi di leggere un libro cartaceo, ne devo dare comunicazione alla scuola e aspettare una sorta di consenso?
  4. se fossi l’autore di un libro che uso per fare lezione, ne devo dare comunicazione alla scuola e aspettare una sorta di consenso?

Infine, un’ultima cosa. Nelle università statunitensi vanno di moda i corsi online gratuiti e destinati a grandi quantità di persone, i cosìdetti MOOC Massive open online course. Perché in Italia è così difficile coinvolgere 20 persone di una classe in un corso su Moodle che prevede la lettura di due brani tratti dal libro cartaceo e la consegna di un file di Word?

domande che qui non ci facciamo

Si discute della mortalità scolastica, delle nefandezze degli studenti e della precarietà di molti docenti. Alcuni avventurosi chiedono se la “rivoluzione digitale” sia tutta nelle pagelle elettroniche. Le aule con le LIM restano inutilizzate in attesa della macerazione. Le case editrici spacciano per e-books la versione PDF dei libri cartacei o se producono qualcosa di originale lo vincolano a software proprietari che contraddicono qualsiasi progetto a lunga scadenza e così dimostrano la totale ignoranza della rivoluzione culturale e tecnica in corso.

Poi ci sono le domande che nella scuola italiana non sono formulate. Fortunatamente in altri luoghi dell’universo persone sagge e intelligenti le pongono e cercano delle risposte. Per esempio un articolo di Mashable chiede: quali sono i college più social? Una infografica che segnala quantità di follower, like e altre cose su Facebook, Twitter, Pinterest, Klout, Youtube, Google+. Ai primi tre posti troviamo: Stanford, Harvard, Luisiana State University. Per illuminare la profondità del fenomeno basta ricordare che Harvard è una delle università i testa nell’erogazione di corsi MOOC ma anche Stanford non è da meno.

Non so che altro dire. Forse che se esperienza e laurea fossero esportabili, penserei a cambiare luogo d’insegnamento.

perché mi piace insegnare filosofia?

Quest’anno dovrò insegnare sociologia, psicologia, antropologia culturale e pedagogia riducendo la filosofia. Mi spiace ma colgo l’occasione per cercare di rispondere a una domanda banale che non ho mai affrontato davvero.

Perché insegno filosofia? Alcune circostanze storiche e casuali mi hanno portato a questo lavoro, ma poi ho scelto e scelgo di insegnare questa materia difficile a ragazze e ragazzi recalcitranti. Nella mia vita ho fatto diversi lavori che poi ho smesso, mentre quando si è trattato di insegnare filosofia mi sono fermato. Perché?

La prima risposta è che mi piace il linguaggio e parte della filosofia gioca e sguazza nel linguaggio, con l’etimologia, con i termini e le definizioni. Alle volte inventa etimologie.

La seconda è che molte delle mie letture filosofiche mi hanno emozionato e trasmesso delle conoscenze significative e spesso illuminanti. Nulla di facile o veloce ma anni di letture, di studio e di fatica. Per esempio, Kant. Al liceo avevo cercato di studiare Kant, dico cercato perché a 17/18 anni non puoi capire la Critica della ragio pura, la Critica della ragion pratica e men che meno la Critica del giudizio. L’unica cosa che mi ha fatto pensare del Kant del liceo è stata la sua capacità quasi ascetica di oggettivare i propri processi percettivi e mentali nella solitudine della propria stanza, tramite la scrittura. E allo stesso tempo di essere così profondamente in comunicazione con gli altri esseri umani. All’università sono passato attraverso la fatica della Pura per gli esami e poi mi è accaduta una illuminazione sulla deduzione trascendentale. Non so quanti anni dopo aver sentito per la prima volta il nome, ho compreso una cosa che ha scritto. E ne sono uscito trasformato.

La terza è che attraverso la filosofia sono coinvolto in uno scambio mentale con gli altri intimo e intenso. I concetti e i ragionamenti dei brani e dei manuali mi permettono di condividere un regno, un tessuto mentale di idee, concetti e significati che ci tiene assieme nelle differenze. Ma anche qualcosa di ulteriore: attraverso i ragionamenti e le parole “vedo” le persone con cui parlo, ne vedo la mind, per dirla in inglese.

Infine, gli studenti. Mi stupiscono positivamente. Ricordo frasi e concetti di molti. Per rompere il ghiaccio e iniziare a conoscere la classe che non conosco, all’inizio dell’anno chiedo cosa sia per loro la filosofia. E specifico che non voglio che mi ripetano quello che hanno studiato ma che cosa hanno elaborato personalmente di ciò che hanno, o non hanno, studiato. Una ragazza, diversi anni fa, mi lasciò senza parole quando rispose: “Per me la filosofia è un modo per entrare in relazione con la realtà”.

lottare per insegnare online

Ho appena letto su The Chronicle of Higher Education un articolo sui “rischi dell’insegnamento online” che narra le disavventure di un docente americano che, come me, lotta per insegnare online. Ritrovo quasi tutti gli ostacoli contro cui mi sono scontrato negli anni:

  • le resistenze degli studenti, che non sanno come agire in ambienti che non siano Facebook;
  • la valanga di domande tecniche da risolvere che tolgono tempo alla didattica;
  • la necessità di preparare materiale e corsi con grande anticipo;
  • la necessità di imporsi dei limiti sia temporali sia di ambizioni: per esempio data una classe di 25 persone, se si assegna a ogni studente il compito di scrivere almeno due post, si dovranno leggere almeno 50 messaggi!

Perciò due indicazioni generali:

  1. Keep it simple! Ovvero meglio semplice e fattibile che articolato e irraggiungiungibile.
  2. Avere il coraggio di cambiare: ogni classe, ogni studente fa storia a sé. E ogni anno si deve ricomciare, non proprio da zero ma quasi. Come se si ripartisse da zero.

Parole e persone

Come sempre, ogni classe reagisce diversamente alle stesse parole e agli stessi concetti. Alcune classi sono spiritose, altre rispondono con impegno, altre non rispondono in attesa di fatti ed eventi. Ognuna ha la propria personalità che occorre scoprire e a cui occorre dare parola. Tempo e pazienza. E se si sbaglia rimettersi a cucire.

Cosí hanno inizio le diramazioni dei pensieri. Uno stesso concetto si diversifica nelle aule e prende strade che non si sanno dire prima; se le cose vanno bene poi si trova una specie di unità. Il filo rosso dei concetti tiene e riemerge. Allora il concetto è qualcosa in cui stiamo sia io sia gli studenti. Se le cose funzionano.

Se le cose non funzionano, tutto si disfa in chiacchericcio.