Ho partecipato a un corso MOOC organizzato da Coursera sulla storia di internet. L’esperienza è stata coinvolgente e interessante.
Ora apprendo da un tweet di Eleonora Pantò di un articolo del New York Times che descrive il fenomeno riportando che i MOOC sono in crescita. Questi tipo di corsi sono diversi dagli open courseware delle università o dai filmati su Khan, perché sono pensati come veri e propri corsi universitari destinati appositamente a una grande quantità di persone di tutto il mondo, con esercitazioni, test, hangout su Google. Non sono solo i video di lezioni dal vivo.
Certamente pongono dei problemi: copiare è facile; i professori devono eliminare l’interazione con gli studenti, data la massa dei partecipanti. Nondimeno i docenti mettono a disposizione documenti di qualità; i corsi sono strutturati rigorosamente; partecipanti di stesse zone geografiche si incontrano anche nella vita reale. Il New York Times si lancia in un paragone con i social network tipo Facebook per il social mood che li anima.
Il corso che ho frequentato, inoltre, mi ha permesso di fare un’esperienza importante per il mio mestiere di docente: la peer review. Per sopperire alle difficoltà legate alla correzione di alcune prove si ricorre alla peer review, che risulta essere rigorosa quanto quella dei docenti universitari. Esperienza importante perché leggere per correggere, senza risultare offensivo, dei testi scritti da sconosciuti che abitano in chissà quale parte del mondo, è molto impegnativo. Si impara una forma di rigoroso rispetto educativo che la tradizionale lezione in aula uccide.
Detto ciò, taccio sul panorama dell’educazione online in Italia.