insegnare: è possibile?

I miei professori tenevano rigorose lezioni frontali, la noia non era prevista perché non era dato che gli studenti avessero sentimenti ed emozioni. Nella sua struttura di fondo ho adottato la modalità della lezione frontale, però faccio attenzione, o cerco di fare attenzione, al clima emotivo della classe e alla tensione mentale.

A lezione parlo e mi aspetto che gli studenti scrivano quello che dico, che ricopino gli schemi che illustro alla lavagna. Dedico del tempo a leggere brani dal libro di testo. In apertura della lezione scelgo uno studente perché ripeta ciò che ho spiegato in precedenza. Talvolta faccio qualche battuta per alleggerire il peso della lezione, ma non so se ridano per compiacere il professore o per quale altro motivo. Rivolgo alla classe domande, sollecito spiegazioni su termini o concetti che ho espresso o che i ragazzi suppongono di conoscere. Teatralizzo la lezione, mi diverto e credo che gli studenti se ne accorgano.

Da qualche anno uso la piattaforma Moodle, pur fra mille difficoltà: ogni anno scopro con stupore crescente che il digital divide attraversa le nostre città e quartieri perché la quantità di studenti che “non ho il collegamento o il credito” è sempre crescente, mi chiedo chi sbagli le statistiche d’uso degli smartphone fra i giovani; in ogni caso ho iniziato a ricorrere al Bring Your Own Device (BYOD) suscitando interesse: se spinti cercano le parole, le definizioni; li mando sulla piattaforma con la app di Moodle. Ogni anno devo affrontare discussioni sull’uso delle password e ricordo loro che le chiavi d’accesso alle piattaforme sono cruciali per la cittadinanza digitale. Spiego che nella rivoluzione digitale in atto occorre agire cercando un equilibrio fra l’invadenza degli algoritmi che frugano nella nostra vita e la ricerca di una forma di verità o plausibilità sui social.

Non sono soddisfatto di ciò che accade in aula ma sono profondamente convinto che sia io che loro facciamo il possibile, e anche di più, per avvicinarci gli uni agli altri. Sono lodevoli e a tratti eroici per quanto studiano, leggono, scrivono, ricercano seguendo le indicazioni di quegli abbozzi di flipped classroom che allestisco.

Mi imbarazza dare i voti.

Ma alla fine resta sempre quel sapore amaro: insegnare è possibile? Io stesso non ricordo nulla di ciò che ho studiato o mi hanno insegnato al liceo.

Eppure qualcuno le deve fare. Se non insegna nessuno, qualcosa crolla della società e della vita.

lottare per insegnare online – seconda parte

Altre domande.

Come sapete ambisco a usare l’elearning per insegnare, non ostante le difficoltà, e per realizzare questa ambizione ricorro al servizio di un’università australiana che offre gratuitamente la piattaforma Moodle. Anni fa ho inviato una mail e mi hanno assegnato una url cui posso accedere come amministratore e creare corsi, invitare persone, gestire utenti. Insomma fare quelle cose che fanno coloro che per insegnare progettano anche corsi online.

Conoscendo il contesto della scuola, a ogni nuova scuola avviso e aspetto il feed-back. Cosa che ho fatto anche quest’anno. Come al solito mi hanno detto di aspettare una specie di liberatoria dalla presidenza, prima di accennare anche solo la cosa agli studenti.

A questo punto le domande:

  1. se preparo delle fotocopie o disegno degli schemi alla lavagna, ne devo informare la scuola e aspettare una sorta di consenso?
  2. se dicessi ai miei studenti di fare una ricerca su internet, ne devo dare comunicazione alla scuola e aspettare una sorta di consenso?
  3. se dico ai ragazzi di leggere un libro cartaceo, ne devo dare comunicazione alla scuola e aspettare una sorta di consenso?
  4. se fossi l’autore di un libro che uso per fare lezione, ne devo dare comunicazione alla scuola e aspettare una sorta di consenso?

Infine, un’ultima cosa. Nelle università statunitensi vanno di moda i corsi online gratuiti e destinati a grandi quantità di persone, i cosìdetti MOOC Massive open online course. Perché in Italia è così difficile coinvolgere 20 persone di una classe in un corso su Moodle che prevede la lettura di due brani tratti dal libro cartaceo e la consegna di un file di Word?

perché mi piace insegnare filosofia?

Quest’anno dovrò insegnare sociologia, psicologia, antropologia culturale e pedagogia riducendo la filosofia. Mi spiace ma colgo l’occasione per cercare di rispondere a una domanda banale che non ho mai affrontato davvero.

Perché insegno filosofia? Alcune circostanze storiche e casuali mi hanno portato a questo lavoro, ma poi ho scelto e scelgo di insegnare questa materia difficile a ragazze e ragazzi recalcitranti. Nella mia vita ho fatto diversi lavori che poi ho smesso, mentre quando si è trattato di insegnare filosofia mi sono fermato. Perché?

La prima risposta è che mi piace il linguaggio e parte della filosofia gioca e sguazza nel linguaggio, con l’etimologia, con i termini e le definizioni. Alle volte inventa etimologie.

La seconda è che molte delle mie letture filosofiche mi hanno emozionato e trasmesso delle conoscenze significative e spesso illuminanti. Nulla di facile o veloce ma anni di letture, di studio e di fatica. Per esempio, Kant. Al liceo avevo cercato di studiare Kant, dico cercato perché a 17/18 anni non puoi capire la Critica della ragio pura, la Critica della ragion pratica e men che meno la Critica del giudizio. L’unica cosa che mi ha fatto pensare del Kant del liceo è stata la sua capacità quasi ascetica di oggettivare i propri processi percettivi e mentali nella solitudine della propria stanza, tramite la scrittura. E allo stesso tempo di essere così profondamente in comunicazione con gli altri esseri umani. All’università sono passato attraverso la fatica della Pura per gli esami e poi mi è accaduta una illuminazione sulla deduzione trascendentale. Non so quanti anni dopo aver sentito per la prima volta il nome, ho compreso una cosa che ha scritto. E ne sono uscito trasformato.

La terza è che attraverso la filosofia sono coinvolto in uno scambio mentale con gli altri intimo e intenso. I concetti e i ragionamenti dei brani e dei manuali mi permettono di condividere un regno, un tessuto mentale di idee, concetti e significati che ci tiene assieme nelle differenze. Ma anche qualcosa di ulteriore: attraverso i ragionamenti e le parole “vedo” le persone con cui parlo, ne vedo la mind, per dirla in inglese.

Infine, gli studenti. Mi stupiscono positivamente. Ricordo frasi e concetti di molti. Per rompere il ghiaccio e iniziare a conoscere la classe che non conosco, all’inizio dell’anno chiedo cosa sia per loro la filosofia. E specifico che non voglio che mi ripetano quello che hanno studiato ma che cosa hanno elaborato personalmente di ciò che hanno, o non hanno, studiato. Una ragazza, diversi anni fa, mi lasciò senza parole quando rispose: “Per me la filosofia è un modo per entrare in relazione con la realtà”.

lottare per insegnare online

Ho appena letto su The Chronicle of Higher Education un articolo sui “rischi dell’insegnamento online” che narra le disavventure di un docente americano che, come me, lotta per insegnare online. Ritrovo quasi tutti gli ostacoli contro cui mi sono scontrato negli anni:

  • le resistenze degli studenti, che non sanno come agire in ambienti che non siano Facebook;
  • la valanga di domande tecniche da risolvere che tolgono tempo alla didattica;
  • la necessità di preparare materiale e corsi con grande anticipo;
  • la necessità di imporsi dei limiti sia temporali sia di ambizioni: per esempio data una classe di 25 persone, se si assegna a ogni studente il compito di scrivere almeno due post, si dovranno leggere almeno 50 messaggi!

Perciò due indicazioni generali:

  1. Keep it simple! Ovvero meglio semplice e fattibile che articolato e irraggiungiungibile.
  2. Avere il coraggio di cambiare: ogni classe, ogni studente fa storia a sé. E ogni anno si deve ricomciare, non proprio da zero ma quasi. Come se si ripartisse da zero.

business etiquette e insegnamento

Per semplice esercizio, riprendo un articolo sulla business etiquette e riferisco i consigli indicati all’insegnamento.

  1. Send a thank you note – Invia un messaggio di ringraziamento.
    Ringraziare colleghi, personale amministrativo, personale ATA, Preside. Ma anche gli studenti, che spesso sopportano lezioni difficili.
  2. Know the names – Conoscere i nomi.
    Le stesse persone del punto 1. Per quanto riguarda gli studenti, preferisco dare del lei e chiamarli per cognome. Ma dovrei ricordarmi i nomi.
  3. Observe the “elevator rule” – Rispetta la “legge dell’ascensore”
    Questa legge impone di non parlare dell’incontro o degli eventi accaduti in una stanza fino a che non si è usciti dall’edificio in cui si trova la stanza. Neanche l’aula insegnanti è un luogo sicuro in cui poter parlare degli studenti o dei colleghi. Neanche il bar di scuola. Purtroppo l’insegnamento è un tipo di professione in cui il luogo di discussione e di confronto coincide con il luogo di lavoro. Ci sono i consigli di classe riservati ai docenti.
  4. Focus on the Face, non on the Screen – Concentrati sul volto, non sullo schermo.
    Fa riferimento all’abitudine di consultare telefonini alle riunioni. L’analogia più facile è con il professore che lascia acceso il cellulare durante la lezione e risponde, invia SMS. Ma ci possono essere anche altri elementi di distrazione: nelle interrogazioni si può essere distratti dai pregiudizi sugli studenti; nelle riunioni dai luoghi comuni.
  5. Don’t judge – Non giudicare.
    Regola aurea, che vale sopratutto perché il professore deve dare dei voti. Ma credo che anche i ragazzi valutino e giudichino i professori.

Social media per elearning

Da un articolo del Learning Solution Magazine: i fondamentali dei social media per l’e-learning. Secondo l’autrice, Pam Boiros, tre sono le gambe su cui far stare in piedi l’uso dei social media nell’elearning:

  1. una piattaforma tecnologicamente evoluta;
  2. una comunità viva;
  3. contenuti di qualità.

Ma poi aggiunge altri usi interessanti dei social media:

  1. evitare il sovraccarico informativo: una comunità attiva permette di selezionare le informazioni ridondanti, infondate etc;
  2. creare una comunità di esperti, e aggiungerei tendenzialmente paritetica;
  3. intercettare la conoscenza tacita, implicita.

Ne indica anche altri, ma questi tre punti mi paiono interessanti per capire cosa può accadere quando si uniscono social media e apprendimento: il ruolo di chi insegna si ridimensiona perché la comunità è in grado di trattare i sovraccarichi informativi autonomamente e senza la guida dall’alto di un docente; l’equiparazione dei membri della comunità coinvolti in una dinamica di miglioramento delle proprie competenze/conoscenze per proteggere/costruire la propria reputazione di fronte ai pari; infine l’emergere delle conoscenza tacita.

Nella mia, piccola, esperienza, il passaggio più difficile, è proprio la formazione di una comunità online. Da un lato il contesto scolastico non aiuta: mutare il ruolo del professore che spiega e dà voti non è facile; dall’altra allacciare relazioni richiede tempo e motivazioni. Quale motivazione può portare degli studenti a diventare una comunità online?

organizzare un corso

Come organizzare un corso? In teoria so come fare: ho studiato diligentemente ciò che mi hanno detto sulla pedagogia costruttivista, sui learning object, sul tutoraggio e tutto il resto. Ma quando sei di fronte alla pagina da popolare di attività, link e altro per definire un percorso è tutta un’altra cosa.

La prima cosa che ho fatto è stato il tipico errore del novellino: ho scritto e spiegato a parole. Box di testo, che, mi accorgo ora, nessuno leggerà mai! E pensare che lo avevo letto in diversi libri, articoli, nei forum e nei blog: non scrivete troppo. Ma ci sono cascato come un allocco. Ma ora sto imparando a trattenermi e sostituisco le parole scritte con una lezione in aula multimediale, magari con la LIM per introdurre i ragazzi alla piattaforma. Mi diverto a usare la lavagna, i ragazzi scambiano battute e spero che famigliarizzino con la cosa.

Ma la pagina da popolare resta: da cosa partire? E come organizzare? Sto scoprendo che è bene cominciare dalla fine, ovvero da ciò che voglio i ragazzi producano: un testo, una tabella, dei test. In alcuni casi prendo ispirazione da domande che raccolgo da diverse fonti, in altri casi riprendo altro materiale.

Ma non devo insistere troppo sui test e sui quiz perché i ragazzi si spavenatono. Allora sono passato ai filmati e ho riscoperto Roberto Rossellini e la sua opera La lotta dell’uomo per la sopravvivenza e in particolare Cartesius. Ma non basta mettere a disposizione un filmato: occorre che i ragazzi facciano. Usare i filmati come spunto per la riflessione e poi passare al testo in classe?

esperienza d’apprendimento

L’esperienza è un veicolo straordinario per apprendere: vedere un insetto in un prato porta a capire molte più cose che leggere una descrizione. E questo vale per molti argomenti. Ma credo che quando si parla di Learning Experience si intenda qualcosa traducibile con Esperienza dell’apprendimento, che aggiunge altri elementi. A questo proposito, un articolo su Future Learning Experience presenta la pratica e il concetto della learning experience e lo definisce facendo riferimento all’ambiente organizzato in vista dell’apprendimento: “Esperienze di apprendimento sono un modo di pensare a cosa possa essere un intervento di apprendimento (per esempio la progettazione) nel contesto degli scopi e dei risultati desiderati.”

Trovo questa definizione interessante per almeno due ragioni: il riferimento all’ambiente, l’organizzazione dell’apprendimento. Ovvero al concetto di ambiente organizzato per l’apprendimento.

Riferito all’e-learning, l’ambiente organizzato per l’apprendimento comprende il catalogo noto di pulsanti, link, icone che accompagna ogni interfaccia. Ma non è solo questo. Dell’ambiente di apprendimento fanno parte anche i partecipanti al corso, presenti come immagini e parole; fanno parte l’ambiente “reale” da cui i singoli partecipanti si collegano alla piattatforma e altre cose ancora.

Per quanto riguarda la mia attività di insegnamento, mi chiedo come strutturare l’ambiente per insegnare filosofia, o meglio per insegnare alcuni concetti della filosofia, per esempio il mito della caverna, il concetto di ragione pubblica in Kant, la dialettica di Hegel o la teoria dell’eterno ritorno. Esistono diverse immagini, presentazioni e filmati di professori autorevoli che possono decorare l’ambiente in cui invitare gli studenti ad accostarsi a tali concetti. E non credo che questo esaurisca il discorso. L’esperienza di apprendimento è l’intervento organizzato in un ambiente per raggiungere degli obiettivi. Per insegnare filosofia: intervenire sul linguaggio, il “vissuto” delle persone per portarle a frequentare consapevolmente dei concetti. Lavorando sia di persona sia sulla piattaforma.

conoscere, conoscersi e conoscerci

L’elearning non è facile anzi è pieno di ostacoli, difficoltà. In una forma più mediata potrei dire che riserva molte sorprese. Avevo già avuto un assaggio di queste difficoltà gli anni passati quando ho impostato qualche attività. Ma quest’anno voglio fare le cose bene mettendo a frutto quanto studiato, letto e imparato in teoria.

Quindi, a noi due Moodle, learning object, apprendimento sociale e tutoraggio.

Scrivo, preparo schemi, tabelle, aggiungo un argomento non trattato sul libro di testo, preparo un forum e dei quiz di preparazione della prova. La speranza è che gli studenti inizino a masticare la piattaforma, schiaccino pulsanti, scrivano commenti, aggiungano immagini, per orientarsi nell’ambiente accostandosi a un metodo di studio più appassionante, almeno per me.

Ma dopo qualche giorno mi scontro a faccia piena contro uno dei fondamenti della vita: quello che è evidente, facile o spontaneo per uno non lo è per un altro. Per me è facile intervenire in un forum, per altri meno; per me è facile scrivere quello che penso, per altri meno. Gli studenti possono avere delle difficoltà a esporsi in un ambiente sconosciuto, per quanto siano attirati dal nuovo. Mi sembrano dei luoghi comuni a come i luoghi comuni sono un luogo in cui ci troviamo, e ci riconosciamo fra simili. Nulla di facile o scontato.

Credo di dover rivedere il modo in cui mi rapporto agli studenti e come propongo la materia.

argomenti e classi nuove

Quest’anno sono in una nuova scuola, il Porro di Pinerolo. Insegno filosofia nelle sei classi del liceo tecnologico. Userò la piattaforma Moodle per trattare alcuni argomenti con le classi. Ma prima di studiare filosofia con le classi devo conoscerle. E credo che la piattaforma mi venga in aiuto.

Per conoscere alcune classi, per ora solo le quinte, ho allestito una sezione “presentarsi” molto semplice: un forum in cui i ragazzi possono postare una immagine, una brano, un link a un filmato di Youtube o un oggetto qualsiasi purché sia significativo per la persona. Il post può essere completato da un breve testo che spieghi il significato che la persona attribuisce alla cosa postata.

Una volta completata questa prima parte, che mi auguro richieda al massimo tre/quattro giorni, chiederò di effettuare un test finalizzato a capire il modo in cui le persone si accostano allo studio. Il test (ATTLS) è incluso nel pacchetto di Moodle e consiste di venti domande che riguardano principalmente il comportamento nelle discussioni.

A presto con le evoluzioni.