uno dei canti del desiderio
una conclusione in crescendo.
testo, musica e interpretazione convergono su un punto: quanto si è indifesi quando si desidera e quanto ciò spaventi e imbarazzi.
Oggi faccio riferimento a un blog di storia che raccoglie immagini e link relativi ai bambini che non andavano a scuola, negli USA e in Italia. Molte le fonti statunitensi – Library of Congress e associazioni private e benefiche – poche quelle italiane.
Emoziona vedere immagini di bambini di 9, 10, 7 anni nei posti di lavoro per adulti. Alcuni sono in posizioni pensose, altri fissano stupiti verso la macchina fotografica. Alcune didascalie specificano l’ora di inizio del lavoro: le 6 del mattino. Documenti sulla durezza della vita in Occidente fino a non molti decenni fa.
In Italia si risale di circa 60 anni. Io ricordo che alcuni miei compagni delle medie non studiavano il pomeriggio perché lavoravano. Preferisco non soffermarmi su come venivano trattati fra le mura dell’aula. Un solo ricordo che dà l’idea: i bambini sedevano in tre colonne di banchi, considerandoli dalla cattadra: a sinistra la prole dei poveri, a destra i ragazzatti della piccola e media borghesia, al centro i rampolli dell’alta borghesia. E guai a cambiare di posto.
Comunque mi interessa altro. Il sito mi pare un ottimo esempio di uso delle fonti su internet che senza ricorrere a Wikipedia mostra fonti alternative. Attendibili.
Mi pare che questa operazione culturale sia ancora più importante perché estende la memoria digitale del mondo oltre gli anni Duemila, quando si è cominciato a mettere su internet “tutto”. La storia esiste da prima di Internet e inizia a essere disponibile per molti da poco.
Comunque oggi in molti luoghi della terra si parla di schiavitù infantile.
Come le capita spesso, Guazzaroni propone una interessante e originale iniziativa di apprendimento – EMMAP – in questo caso di Mobile-Learning, nel Museo della Carrozza all’interno di Palazzo Bonaccorsi a Macerata.
A dire il vero non vorrei soffermarmi tanto sugli aspetti squisitamente tecnici – il Mobile Learning, gli Smartphone etc. – quanto su uno degli obiettivi: recuperare la dimensione sentimentale dei luoghi attraverso contenti emozionali e soggettivi. Mi pare un tentativo per approfondire le emozioni, i vissuti – un tempo gli psicologi avrebbero azzardato il “non detto” – che spesso sono livellati dal “Mi piace”. Intendiamoci bene, a me piace il “Mi piace” ma talvolta sento il bisogno di più sfumature, di maggiore articolazione nella comunicazione e nello scambio delle conoscenze. In questo senso mi pare che l’esperienza descritta da Guazzaroni sia una specie di tag della realtà analogica la quale assume così la rete come propria ombra digitale.