poi un professore si stanca anche

Si stanca delle griglie di valutazione; della campanella che suona sempre sul più bello; del fantasma del “programma” che incombe come un avvoltoio sulle speranze di comprensione; di idee che non staranno mai nelle ore d’insegnamento; di voti che non dicono nulla se non la difficoltà di comprendere ciò che si è studiato; dei colleghi con cui non si riesce a parlare; della solitudine autoreferenziale in cui si contorce; del linguaggio povero con cui lotta; della mancanza di feed back; delle leggi che manco fai tempo a capirle che le hanno già cambiate; delle leggi scritte in base a chissà quali accordi; dell’ossessione tutta burocratica e paranoica di documentare ogni cosa perché “è sempre possibile un ricorso”.

Certo che un professore si stanca e vorrebbe portare la classe a fare un giro in montagna per parlare delle idee, dei bei libri che ha letto, delle cose belle e brutte che ha visto; guardare le montagne e sentire l’aria fresca entrare nei polmoni. Oppure ascoltare assieme un disco di quelli che gli sono nella mente e nel cuore da anni e che però non collimano con quella roba del programma e dei voti.

Certo che un professore si stanca e quasi vorrebbe perdere tempo con la classe per discorrere di cose oziose ma che poi sono le sole davvero importanti.

Certo che a un professore succedono queste cose, sopratutto se insegna filosofia.

primo giorno di un nuovo anno

Domani inizia un nuovo anno scolastico, per me. Oggi hanno iniziato le prime, domani le altre classi.

Anche se conosco la maggior parte delle classi provo sempre un po’ di tensione: in un’estate le persone cambiano. Anche io sono diverso: mi sono tagliato la barba. Ho visto alcuni fra studenti e studentesse, passati oggi per delle informazioni. Chissà cosa sono diventati in questi mesi estivi, durante i quali hanno pregustato qualcosa della vita da adulti. Le classi terze spesso vogliono fare bella figura. Chissà come sono.

Poi ho assegnato dei compiti delle vacanze un po’ impegnativi, lettura di alcuni libri. Ma dovevano anche scegliere e commentare un’immagine. Vediamo cosa hanno fatto. Magari pubblico le cose migliori sulla piattaforma della scuola.

In genere la prima ora dopo le vacanze non è troppo impegnativa poiché non ci si avventura in spiegazioni o interrogazioni. In realtà c’è almeno una studentessa che deve essere interrogata, subito! Comunque ci sono emozioni di segno diverso, si colgono nello sguardo più articolato delle quinte; in quello un po’ spaccone e spaventato delle quarte; e in quello incerto e curioso delle terze.

Chissà cosa dirò e come si svolgeranno le lezioni. Non vorrei che una certa consuetudine con la routine scolastica mi privi del senso della scoperta avventurosa.

su studenti e professori

In primo luogo, ignoro chi siano le persone cui mi rivolgo e che in alcuni casi mi pongono delle domande. Talvolta, a fine lezione, durante l’intervallo resto in aula esausto a osservare chiedendomi come siano le loro giornate, i loro progetti, le loro sofferenze, le loro felicità. Goffamente eleganti nella vita che sta crescendo in loro, camminano cercando un’identità e un ruolo. Io cerco di figurarmi come potranno essere i loro volti tra 10, 20, 30 o 40 anni. Alcuni hanno espressioni già antiche; i profili di altri evocano quadri rinascimentali. Posso dire, per esperienza, che stanno attraversando un periodo cruciale dell’esistenza i cui risvolti si chiariranno nel corso del tempo. Avranno successo, non necessariamente sociale, se riusciranno a dire ed elaborare alcune delle emozioni profonde, delle correnti sotterranee che li stanno trascinando chissà dove: una rabbia contro i genitori; un amore inconfessato per il vicino o la vicina di banco; una vergogna sociale; magari l’imbarazzo per il proprio corpo e altro ancora. Ma per ora lottano con e contro se stessi mentre il docente, in questo caso io, cerca di inserirsi per indicare loro qualcosa, un concetto, un’idea, confidando nella plasticità neuronale della gioventù. Ma resta una lotta estenuante condotta in mezzo a resistenze psicologiche, fraintendimenti linguistici, fantasmi concettuali, debolezze adolescenziali, istinti inflessibili. Una lotta rischiosa, dall’esito incerto e dal percorso accidentato.

Poi c’è la densità di ciò che devo insegnare perché lo stato mi paga per farlo, cosa di cui sono veramente felice. Già trattare alcuni concetti è arduo: testi che hanno plasmato la vita occidentale e del mondo per millenni; definizioni e ragionamenti frutto di anni, decenni, secoli di analisi, revisioni, riflessioni; idee sui cui rimugino dal mio liceo per metterli a fuoco; il tutto condensato in 2, 3 ore di lezione. A peggiorare la situazione ci sono gli orari: un’ora di filosofia dalle 10 alle 11, magari dopo un’ora di matematica, una di storia dell’arte e prima di 3 ore di italiano. Come è possibile? Cosa possiamo sperare di ottenere? Come posso illudermi che gli studenti seguano? Per questo mi pare che nella maggior parte dei casi, gli studenti e le studentesse che incontro, facciano del loro meglio. Magari studiano a memoria alcune cose o balbettano una terminologia del tutto aliena, ma posso realmente giudicarli per questo? Comunque un tentativo fallito è qualitativamente diverso, oltre che distante anni luce, dall’inerzia di chi copia.

Di tutto ciò resterà al massimo l’immagine del professore conservata in una foto, in un ricordo; anche la sua voce a mano a mano svanirà. Fra 20 o 30 anni alcuni ricorderanno l’adolescenza, ma sarà più l’emozione per ciò che sono stati che non la memoria di ciò che un docente ha cercato di mostrare, e che magari ha modificato la loro vita. Per sempre.

Il mestiere che faccio è difficile, pericoloso e in qualche misura destinato a essere dimenticato.

esami: salutare gli studenti

Li vedi uscire dall’aula calda e umida, poi li intravedi sorridere agli amici e ai parenti che aspettavano fuori. Tu, invece, resti dentro a decidere assieme alla commissione l’esito dell’esame e infine il voto.

E’ in pratica l’ultima volta in cui studenti e professori si vedono. Dopo sarà un’altra cosa: gli studenti non vorranno far sapere troppo della loro vita e i professori non potranno coinvolgerli nelle lezioni e nelle interrogazioni. Certo che da questo punto di vista è un mestiere strano: condividi con 70, 100, 180 persone pensieri, emozioni e sorprese legate agli aspetti più impegnativi della storia, della mente dell’umanità e tutto ciò in qualche modo resta immerso in una profondità esistenziale spesso inconsapevole, circoscritto a un periodo i cui resti riemergeranno anni o decenni dopo. In alcuni casi, le nozioni sopratutto quelle procedurali, restano. Qualcuno dirà di aver acquisito il “metodo di studio” ma credo che avesse già una forma di rigore latente e che abbia avuto la fortuna di incontrare persone che la hanno lasciata emergere.

Si vorrebbe dire un’ultima cosa a quegli uomini e donne che escono dall’aula. Guardarli ancora una volta negli occhi per far capire loro che hanno un po’ di tempo, ma non troppo; che hanno molte possibilità, ma non troppe; che la vita è dura ma incontreranno meraviglie, stupori e sorprese inimmaginabili; che la vera lotta è con se stessi e non con i fatti e gli altri; che lo studio è servito, anche se non vogliono dirselo.

Uno vorrebbe stipulare una pace dopo le battaglie condotte nelle aule per la conoscenza e non sempre è possibile.

studenti e studentesse degli anni passati 

Sul mio profilo Facebook appaiono le fotografie dei miei studenti degli anni passati. Alcuni sono andati all’estero, altri sono scomparsi anche dai profili, altri si sposano, altri fanno mestieri che non avrei mai immaginato.

I selfies di gruppo in birreria, discoteca, ristoranti non si contano.

Nella maggior parte dei volti vedo ancora le linee lisce dell’adolescenza; nello sguardo di alcuni ed alcune si intravede un raggio di sofferenza, le prime avvisaglie di una vita ancora imbozzolata. Molte ragazze sono diventate madri; meno ragazzi padri. Alcune sono state abbandonate in malo modo da mariti infantili. Sembra che le amicizie sopravvivano agli anni. Vedremo.

Spesso le foto di gruppo con i loro sorrisi a mille denti e gli occhi fissi denunciano apprensione per i destini individuali e la ricerca di una solidarietà di gruppo. Alcune persone continuano a narrare dolori profondi, sopratutto per la morte di un genitore. Nella maggior parte dei casi proteggono la loro privacy.

Alcuni hanno avviato attività in proprio – negozi, bar, libere professioni – e ne parlano con una certa saggezza. Solo pochi hanno passato la linea d’ombra che li separa definitivamente dal periodo senza momenti della giovinezza.

Li vedo crescere e cambiare ma anche restare così simili a sé stessi. Li vedo, come alberi entro l’orizzonte della realtà che mi è capitato di vivere.