Ho acquistato un periodico nuovo, Vita, che, come riporta nell’intestazione, è un portale di Sostenibilità sociale, politica ed economica. Ne ignoravo l’esistenza e dopo un passaggio sul sito, metto sito e rivista cartacea in quarantena: c’è un lungo articolo su Agamben e sul passaggio dalla biopolitica alla biosicurezza che mi lascia perplesso. Ma non è di questo che voglio scrivere perché è altro ciò che mi dà da pensare.
Il numero di settembre è dedicato alla scuola con tanto di titolo in copertina: “Una nuova scuola si può fare”. Condividendo la speranza acquisto la rivista. All’argomento “nuova scuola” sono dedicate 52 pagine su 98. Ben più della metà. Molti gli articoli e i temi toccati ma mi pare che qualcosa non torni, a parte un certo tono stucchevole che attraversa le descrizioni dei fantastici risvolti delle classi aperte, senza muri, con tecnologie avanzate, della collaborazione fra territorio, scuola, famiglie, associazioni, reti e altro ancora; a parte il sapore celebrativo legato alla totale mancanza di senso critico che almeno esponga un limite delle sperimentazioni o dei corsi innovativi. A parte queste e altre cose che posso sopportare nella misura in cui si tratta di fare breccia in abitudini, immagini e pregiudizi consolidati nei secoli per cui ora non è importante soffermarsi sugli aspetti problematici del cambiamento ma cambiare. Inoltre, mi dico, ben venga la diffusione di buone pratiche del mondo della scuola, altrimenti sommerso da luoghi comuni, semplificazioni sconcertanti e politiche superficiali. Dopo tutto questo resta un problema cui non so dare una risposta plausibile.
Dove sono le scuole superiori?
Nelle 52 pagine leggo interviste a dirigenti di scuole primarie, dell’infanzia, delle scuole medie. Ma dove sono i docenti e le esperienze delle scuole superiori? Possibile che non ci sia nulla di equivalente nelle scuole superiori? La mancanza dipende dai docenti delle superiori che “non sperimentano la scuola senza muri” oppure dai giornalisti che si soffermano alla fase della formazione dei ragazzi affidata al ciclo della scuola italiana con maggior riconoscimenti internazionali? Oppure i diversi ordini di scuola hanno mitologie proprie: le scuole elementari sono la curiosità fiduciosa dell’infanzia; le scuole superiori l’inquietudine colma di nostalgia di quasi uomini e donne in vista della “vita vera”.
Non so dare una risposta. Durante decenni di insegnamento nella scuola superiore, ho incontrato docenti conservatori, innovativi, rassegnati, spaventati, preparati, impreparati e altro ancora. E forse la mappa delle competenze e degli atteggiamenti nella scuola primaria non è così radicalmente diversa. Per me la maggior parte del lavoro in aula è consistito nella spiegazione e nella lettura di libri di testo, relativamente costosi, a studenti che legano la propria autostima al voto. Ho organizzato attività alternative (per esempio durante il lockdown), “fuori le mura della scuola” e ho avuto delle conferme, per esempio che gli studenti misconoscono la scrittura condivisa perché sono stati addestrati per anni a suddividere studio e lavoro di gruppo in ricerche individuali poi messe una dopo l’altra; che l’impegno delle persone non cambia a seconda della metodologia didattica, innovativa o tradizionale; che a proposte interessanti per me non necessariamente seguono risposte appassionate degli studenti. In sintesi, che fare previsioni e formulare leggi è sempre rischioso.
Detto tutto ciò, una domanda continua a frullarmi per il capo:
Dove sono i docenti che sperimentano nuove strade per le scuole superiori?
La scuola in cui insegno si appoggia a Moodle per la didattica online che in passato ho usato per integrare attività online con la lezione in presenza. Le attività per i ragazzi erano: visione di filmati, condivisione di documenti e intervenire nei forum; ma queste erano sempre inserite nello schema consueto della “classica lezione frontale”. Se novità c’era, risiedeva nel definire un percorso fra argomenti slegati dal libro di testo mediante documenti e test disponibili solo online. Il lockdown mi ha dato l’opportunità di mutare la prospettiva poiché il centro del mio lavoro di docente è dovuto passare da “come insegno io” a “come apprendono gli studenti”.
La domanda dell’insegnamento della filosofia
In cosa consiste apprendere la filosofia? Ho scelto come riferimento l’affermazione di Kant per il quale si può, e si deve, insegnare a filosofare senza limitarsi a esporre le filosofie. Ovvero si possono portare gli studenti, con stimoli e discussioni, a porre domande su problemi e processi, ad analizzare concetti, metodi, idee e ragionamenti per trovarne condizioni, limiti e possibilità. Perciò ho proposto alcuni argomenti con l’intenzione di considerarli assieme agli studenti. In questo articolo espongo il corso sulla compassione.
La compassione
In verità avevo intenzione di trattarlo fin da prima del lockdown e perciò avevo predisposto alcune attività e documenti. Il lockdown mi ha portato a cercare un riferimento alla “realtà” più stringente. Un brano di Nussbaum tratto da L’intelligenza delle emozioni, (Il Mulino, capitolo “Compassione e vita pubblica” pag. 484 – 485) su compassione e vita pubblica nel quale l’autrice osserva che la compassione è assente dallo spazio pubblico statunitense, tanto nella discussione quanto nei comportamenti. Nella società statunitense, su malati, poveri, disoccupati, grava una censura, inesorabile e ostile, poiché sono giudicati come moralmente riprovevoli in quanto hanno rinunciato a dominare attivamente la realtà. Secondo la filosofa americana, in tale ottica la passività è da condannare. Quale antidoto a questo giudizio, allo stesso tempo emotivo e cognitivo, che colloca all’origine di molti processi di esclusione sociale, Nussbaum propone la tragedia greca che, mettendo in scena la lotta dell’eroe per la difesa o il ripristino della dignità umana messa in crisi o distrutta da eventi incontrollabili, suscita negli spettatori compassione, paura e partecipazione. In questo modo la filosofa, che riprende le teorie aristoteliche sulla catarsi, spera da un lato che uomini e donne sperimentino il senso del vivere assieme e dall’altro che la partecipazione alla lotta per la dignità favorisca il fiorire delle capacità umane.
Attività per i ragazze e ragazzi
Una volta letto il brano, ragazzi e ragazze devono valutare in una discussione su un forum dedicato se le osservazioni della Nussbaum valgono anche per lo spazio pubblico italiano. Studentesse e studenti hanno scritto sul forum dedicato ma ciascuno individualmente. Infatti, in parte per una mia distrazione, la classe ha inteso che ciascun intervento dovesse essere separato dagli altri e non essere scritto in un forum comune. In ogni caso è stato significativo che nessuno abbia letto gli interventi degli altri, credo per un malinteso senso della privacy. Mi pare segnali una delle difficoltà di fondo dell’apprendimento a distanza nel contesto scolastico italiano: la collaborazione. La concezione della costruzione sociale della conoscenza si arresta di fronte ad abitudini consolidate.
Tragedia
Filottete
Il brano della Nussbaum si rivela di ardua comprensione, sopratutto perché in generale non è nota la tragedia greca e e ancor meno il Filottete, cui la filosofa fa riferimento. Perciò divido la classe in quattro gruppi e affido a ciascuno di essi un approfondimento, come nell’elenco dato di seguito. Ogni gruppo deve riportare la propria ricerca in un wiki, per proseguire nell’attività di scrittura condivisa.
Quali sono le caratteristiche della tragedia greca? Quali gli autori? Come nacque?
Sofocle: chi era? Quando visse? La tragedia Filottete: trama e significato.
Aristotele: in quale libro tratta della tragedia? Quale teorie sostiene?
Shakespeare: periodo e caratteristiche della tragedia.
La difficoltà di questa attività è stata la competenza digitale in senso più stretto: pochi hanno messo a fuoco cosa significhi scrivere un Wiki mediante un editor online fornito di pagine di amministrazione, funzioni per l’inserimento di immagini, collegamenti e altre cose del genere. Nel complesso però, il lavoro arriva alla fine.
Musica
Successivamente propongo una canzone del gruppo Galactic, intitolata Does it Really Make a Difference? voce Mavis Staples. Alla fine dell’ascolto studenti e studentesse devono scrivere in un forum sulla piattaforma le proprie riflessioni sulla canzone: se e come ha a che fare con la partecipazione emotiva alle vicende altrui. Le osservazioni si concentrano sopratutto su cosa sia “fare la differenza” su alcuni aspetti del testo relativi alla solitudine e all’essere gli uni vicini agli altri.
Come definire la compassione
A questo punto del lavoro, si affronta di petto la compassione cercando di distinguere termini ed emozioni talvolta confusi o considerati come sinonimi. Gli autori di riferimento sono Freud, Scheler, Schopenhauer, Jaspers. I termini analizzati sono:
contagio emotivo;
compassione;
empatia.
Evoluzionismo: fitness inclusiva e altruismo
Per non limitare le discussione a schemi consueti ho scelto di aggiungere una parte sull’interpretazione evoluzionistica dei comportamenti cooperativi. Prendendo una strada diversa da quella del libro di testo, che si ferma a esporre il “darwinismo sociale” trascurando gli studi evoluzionistici del Novecento, ho esposto l’evoluzionismo di Darwin e successivamente la teoria della fitness inclusiva di Hamilton. La mia spiegazione via video era accompagnata da documenti, link e video sulla piattaforma.
E se la compassione fosse sbagliata?
Tanti buoni sentimenti rischiano di essere nauseanti. Inoltre non volevo appiattire il discorso sulle sole posizioni “pro compassione”. Perciò ho voluto aggiungere due autori critici nei confronti della compassione. Spinoza, per il quale: “nell’uomo che vive secondo ragione la compassione è per se stessa cattiva e inutile” perché non è altro che dolore, per cui “l’uomo che vive secondo ragione si sforza per quanto può di non essere toccato dalla compassione” come neppure dall’odio, dal riso o dal disprezzo, perché sa che tutto deriva dalla necessità della natura divina.
Successivamente la critica di Nietzsche che individua nella compassione una delle cause del risentimento e dell’odio fra gli individui.
Esercizio finale: scrivere sulla compassione
Dopo incontri video in sincrono, dopo scritture sui forum, dopo ascolti e documento condivisi, si è passati alla fase finale. Studenti e studentesse dovevano scrivere un testo con le proprie riflessioni sull’argomento. Di seguito riporto il testo del “titolo” del saggio.
Nel percorso attraverso la compassione abbiamo visto diverse posizioni e analisi sul quei sentimenti che in genere sono classificati come “empatia”, “compassione”. All’origine vi è la riflessione della Nussbaum sulla tragedia greca che ci educa alla compassione in quanto assistiamo alla lotta, talvolta destinata alla sconfitta, dell’eroe per difendere o riscattare la propria dignità di essere umano. In particolare l’eroe lotta attivamente per riscattarsi da un destino subito devastante e sovrastante.
Nella vita pubblica, osserva Nussbaum, non c’è spazio per la compassione verso le persone che si trovano in difficoltà, anche tragiche e disperate, le quali, anzi, spesso sono condannate moralmente, stigmatizzate, per le difficoltà in cui si trovano. Ne sono un esempio per la filosofia americana, l’atteggiamento di disprezzo con cui nelle società statunitense sono trattate i poveri, i malati privi del denaro sufficiente per curarsi e così via.
A partire da queste osservazioni abbiamo cercato di distinguere la compassione dai sentimenti di partecipazione apparente o addirittura di negazione della compassione, per esempio il contagio emotivo e altro ancora. Successivamente abbiamo preso in considerazione la compassione e la collaborazione come fattori significativi per l’evoluzione della specie umana.
L’ultimo contributo alla ricerca è un testo di Nietzsche che critica aspramente i “compassionevoli” in quanto la compassione suscita risentimento e rabbia nel compatito. Del resto la compassione viene criticata anche da Spinoza per il quale è la conoscenza che rende l’uomo libero mentre la compassione, o la derisione, lo rendono tengono nell’ignoranza.
La compassione, quindi, è un tema articolato che riguarda diversi aspetti della vita individuale e sociale e può essere un fattore di miglioramento della vita associata ma allo stesso tempo avere dei limiti o essere confusa con atteggiamenti remoti dalla partecipazione alla sofferenza dell’altro.
Facendo riferimento agli argomenti trattati in questo percorso scrivere un saggio sui limiti e le possibilità della compassione e del sul ruolo nella vita pubblica, se questa ha spazio oppure se viene rifiutata, se la si confonde con il contagio emotivo. Aggiungere delle proprie riflessioni sui limite della compassione. Nella stesura della relazione occorre fare riferimento ai concetti e alle riflessioni esposte nel percorso.
Conclusioni e riflessioni finali
Obiettivo dell’unità era duplice: da un lato avviare la scrittura condivisa di una ricerca su un argomento specifico, dall’altro la produzione di un testo filosofico sulla compassione. Per arrivare a questi obiettivi ho messo in atto diverse attività: lettura, ascolto, stimoli emotivi, varietà di fonti e punti di vista, video in diretta e video registrati.
Durante il percorso ci sono state alcune difficoltà: la scrittura condivisa non è facile da praticare sia per la poca consuetudine con la piattaforma sia per l’abitudine a “fare da soli ed essere valutati per il proprio lavoro individuale”. Devo, inoltre, essere onesto e mettere in luce il mio errore di fondo: troppo materiale, troppe attività messe in gioco e ciascuna impegnativa. Occorre bilanciare meglio la quantità di attività, il percorso.
La verifica finale. I “temi” hanno almeno riassunto le diverse idee, non sempre in modo completo o fedele all’originale, ma da questo punto di vista non è stato così diverso da certe interrogazioni. Pochi si sono davvero arrischiati ad assumere delle posizioni critiche. Occorre lavorare ancora molto.
Vorrei riprendere il discorso su added value analysis riferendolo alla filosofia e al suo insegnamento.
Quale è il valore che l’intervento del docente di filosofia dovrebbe aggiungere alla preparazione degli studenti?
Una risposta facile, ed evasiva, è che, dal momento che il valore aggiunto dipende dalla filosofia di riferimento e che esistono tante concezioni del valore della filosofia per quante sono le scuole filosofiche o i filosofi, non è possibile, ma sopratutto non è auspicabile, fissare un valore, una funzione a svantaggio delle altre, poiché si abbasserebbe a ideologia dominante una filosofia particolare. Del resto, l’analisi del valore della filosofia ne mette in gioco il significato, che è argomento di discussione fin dalle origini della riflessione filosofica, in quanto la domanda su cosa sia la filosofia è in certo modo costitutiva della filosofia stessa. Allora, può essere interessante tentare di delineare delle ipotetiche aree di analisi e di lavoro didattico come primo passo per una teoria.
Ipotesi 1
La prima risposta può essere: maggiore abilità a trattare idee, proprie e altrui; capacità di ricostruire le argomentazioni dell’altro, mettendo fra parentesi le proprie reazioni. Direi che la filosofia contribuisca in termini di tolleranza nella discussione; forse anche di empatia.
Ipotesi 2
Il valore aggiunto riguarda la capacità di usare vari metodi di ragionamento e analisi: per esempio metodo trascendentale, dialettica, epoché, analisi linguistica, ermeneutica. Questo vale in termini di principio, ma risulta arduo da praticare poiché ognuno di questi metodi può richiedere anche anni di studio ed elaborazione per essere padroneggiato e l’orario scolastico è quello che è. Direi che questo punto vale come ideale regolativo.
Ipotesi 3
Nelle scuole superiori a dei ragazzi è essenziale che i giovani afferrino un significato con una certa chiarezza e non in modo libresco. E per giungere a ciò occorre imparare a leggere bene testi, comprendere cosa dicono e cosa non dicono. Valore aggiunto, di stampo illuminista, la chiarezza e la capacità di non farsi intrappolare dal testo.
Conclusione, provvisoria
Per orientarsi porrei un limite superiore e un limite inferiore. Quello superiore è la capacità di costruire teorie generali sul senso della vita, sulle metodologie adottate, sul linguaggio, sui presupposti impliciti dell’esistenza, della morale e della conoscenza; quello inferiore è la conoscenza delle coordinate storiche e culturali dei movimenti filosofici, con l’elencazione dei concetti generali, la conoscenza della terminologia caratterizzante, la individuazione degli autori di riferimento. In mezzo tutte le sfumature di apprendimento, di conoscenza, di concettualizzazione e di uso competente della lingua che partendo da una elencazione di cose portano al piacere della discussione, della critica e della ricerca.
Il tema è: tutto ciò cosa ha a che fare con l’insegnamento della filosofia e la filosofia?
E, dopo diversi anni di post, blog, fake news e altre amenità, quali sono i limiti di questa impostazione? La condivisione collaborativa è la chiave unica dell’apprendimento?
L’articolo “Collaborative Learning Enhances Critical Thinking“, di Anuradha A. Gokhale, risale all’autunno del 1995 ed è stato pubblicato dal Journal of Technology Education (Volume 7, Number 1 Fall 1995). Prima di tablet, Facebook, Wikipedia e quant’altro espone una tesi poi divenuta fondamentale per il costruttivismo: esiste una relazione fra critical thinking e collaborative learning.
Nella definizione dell’articolo collaborative learning si riferisce “a un metodo educativo nel quale studenti con diversi livelli di prestazione lavorano assieme in piccoli gruppi per il raggiungimento di uno scopo comune. Gli studenti sono responsabili sia del proprio sia dell’altrui apprendimento. Così, il successo di uno studente aiuta gli altri studenti ad avere un successo.” Fin dal 1986 i sostenitori del collaborative learning affermano che esiste una stretta relazione fra questo metodo e il critical thinking (pensiero critico). La ragione può essere che i singoli contribuiscono a costituire il prodotto finale ricorrendo ai metodi chiave del critical thinking – discussione pubblica, esame critico delle delle conoscenze, valutazione di verità, pertinenza e validità.
La ricerca esposta nell’articolo esamina una ricerca empirica effettuata in classi delle scuole superiori statunitensi. La ricerca è strutturata in due classi: la prima che lavora seguendo il metodo classico dell’apprendimento individuale; la seconda che lavora in modalità cooperative learning. Diverse le classi e diversi gli obiettivi: per la classe “cooperativa” analisi, sintesi e valutazione di concetti; per quella “individuale” test a risposta multipla per verificare le conoscenze.
Il consuntivo alla fine dell’esperimento è così a favore delle classi “cooperative” da risultare imbarazzante: migliori i risultati ai test, conoscenze e competenze più stabili e più durature, ovvero maggiore autonomia.
Immagine: La scuola di Aristotele, di Gustav Adolph Spangenberg, tratta da “Scuola peripatetica” Wikipedia.
Il filosofo Daniel Dennett formula 7 consigli per esercitare il critical thinking. Riporto i titoli con una sintetica traduzione della spiegazione di Dennett.
Usare i propri errori
Onestà intellettuale, autoesame e procedimento per tentativi ed errori. Quando si sbaglia, occorre esaminare il proprio ragionamento a denti stretti, ovverro impietosamente.
Rispettare il proprio avversario
Detto anche “buona fede” o “essere caritatevole”. E’ un richiamo retorico più che logico, ovvero ha lo scopo di coinvolgere le persone. Aggiungo io: nessun argomento ad hominem.
La trombetta del “sicuramente”
La parola “sicuramente” è un segnale d’allarme retorico che avvisa che il parlante sta dicendo una verità accettata, apparentemente plausibile ma esaminata poco e male, sperando che chi legge o ascolta la accetti senza sollevare problemi.
Rispondere alle domande retoriche
Una domanda retorica può essere un sostituto del pensiero e si regge sull’assunto che sarebbe troppo imbarazzante rispondere. Ma è una buona occasione per esaminare i propri preuspposti.
Ricorrere al Rasoio di Occam
Il filosofo medioevale Guglielmo da Occam ha prestato il suo nome a questo principio di economia nel ragionamento. La formulazione più nota è “non moltiplicare gli enti oltre necessità” quando cercano spiegazioni. Ma non è sua, per quanto efficace. In italiano, in inglese.
Non sprecare tempo con la spazzatura
Il 90% delle argomentazione sono sciocchezze (crap).
Fare attenzione alla ‘profondità’
Il termine inglese usato da Dennett è “deepity,” a sua volto ripreso dallo studioso di computer Joseph Weizenbaum. Una deepity è “una proposizione che sembra sia importante sia vera – e profonda – ma che deve questo effetto alla sua ambiguità.” La devozione alla chiarezza di Dennett a questo punto divide i suoi lettori in due: gli uni che ammirano la sua chiarezza come espressione di etica analitica; gli altri che sostengono che è ingiusto verso metafisici, mistici, teologi, poeti e filosofi postmoderni.
Quando è morto, Steve Jobs è stato descritto come un rivoluzionario che ha forgiato i computer, internet. Non credo che questa descrizione di Jobs sia del tutto vera. Il filmato di due giornalisti e tecnici americani mostra che tutti i prodotti per cui la Apple è stata definita come “innovatrice”, “rivoluzionaria”, “visionaria” erano stati costruiti e pensati da altri prima.
La tesi sostenuta nel filmato è che la Apple, ovvero Jobs, ha raccolto cose esistenti a cui ha aggiunto dell’aglio – garlic – ma senza innovare veramente. L’uso dei prodotti raccolti poteva essere più o meno concordato con i produttori.
Credo che sia interessante ascoltare questo filmato dopo la sentenza Apple – Samsung.
Dall’inizio di agosto frequento un corso online, gratuito, organizzato da www.coursera.org sul tema Internet, History and Security, tenuto dal Prof. Severance dell’Università del Michigan. L’esperienza è interessante da diversi punti di vista.
Un dato mi ha emozionato, i partecipanti: 40.000 iscritti; partecipanti alla prima settimana 10.000; prima prova consegnata 5.800 circa. Gli iscritti sono di tutte le nazioni, età, culture e religioni: Ghana, Malesia, Iran, Brasile, Italia, USA. Le ragioni per cui partecipano sono le più diverse: un ragazzo malese di 18 anni è stato in prigione e vuole dimostrare che può riscattarsi, gli anziani vogliono tenere la mente sveglia e allenata, molti vogliono “capire come funziona intenet”.
E’ la prima volta che sperimento direttamente la capacità di internet di condividere conoscenza, esperienze al di là di culture, idee, nazioni, regimi politici. Neanche Facebook mi ha mai fatto sperimentare ciò perché ognuno costruisce, anche inconsapevolmente, una rete di amicizie a propria immagine e somiglianza: pur avendo, poniamo, 1000 amici, posta regolarmente con 20, che sceglie.
Il Prof. Severance mette a disposizione materiale, interessante, affidabile e originale. Le lezioni consistono di filmati in cui discute gli eventi documentando sempre con rigore ogni affermazione significativa ed esplicitando la sua posizione, che invita a discutere e criticare nei forum.
Mi è venuto spontaneo confrontare questo corso con la situazione in Italia. Ho sicuramente una conoscenza parziale del sistema universitario italiano; conosco alcune esperienze importanti e ho partecipato a corsi tenuti dall’Università della Tuscia. Tuttavia mi pare che non ci sia nulla di paragonabile. Rimanderei l’analisi delle ragioni di questa differenza, tuttavia mi pare di poter dire una cosa: organizzare una serie di corsi gratuiti online su svariati argomenti – fisica, internet, musica, logica, neuroscienze – presuppone una mentalità democratica, aperta che in Italia non esiste. La democrazia per radicarsi nei pensieri e nei comportamenti delle persone – uomini e donne – richiede tempo, esperienze, cultura, istruzione. E l’Italia deve ancora farne di strada.
perché i docenti non usano la tecnologia per insegnare.
l’uso della tecnologia nella didattica è legato al pensiero critico.
Perché i docenti non usano la tecnologia per insegnare? Concordo con la tesi di Dominici: paura ovvero tecnofobia. Nelle diverse scuole in cui ho lavorato, incontro sempre degli irriducibili i quali non sapendo usare un word processor scrivono a mano relazioni che la segreteria “rende digitali”; i quali non sapendo scaricare un file dalla rete, chiedono aiuto per stampare il cedolino in PDF messo a disposizione dal Ministero. Per costoro Facebook è un pericoloso mistero; la LIM una novità senza senso; internet peggiora la cultura e così via.
Sono dei dinosauri in via di estinzione? Non lo so, ma deridere o compatire chi si comporta come i Dodo dell’Era glaciale non è la soluzione. Come diceva Spinoza, occorre comprendere. Con costoro avvierei una discussione proponendo che storicamente nel contesto vitale dell’uomo la tecnica ha un ruolo centrale: accendere un fuoco è una tecnica, uccidere gli animali con un sasso appositamente scheggiato è una tecnica. Per analogia, la lavagna è una tecnologia comunicativa, forse rudimentale, ma comunque tecnologia dalle molte implicazioni e implicature, esattamente come la LIM. Certamente usare la LIM obbliga a cambiare modo di lavorare, a mettersi in discussione come docenti, ad aggiornarsi. Ma in gioco c’è la relazione fra studenti e docenti che si articolo come digital use divide, seprazione nell’uso del digitale. Da un lato del tavolo da gioco abbiamo i giovani che usano istintivamente tecnologie digitali ma riducono internet a Facebook, pensano di conoscere youtube perché “fanno click” sul pulsante di avvio del filmato; dall’altro lato abbiamo docenti che maneggiano a fatica la posta elettronica, sventolano rischi spesso inesistenti o ingigantiti. Ma non occorre esasperare questa distanza, perché neanche gli studenti si lanciano entusiasti su tablet, iPad, lettori di ebook o sull’elearning. Il risulato è che la scuola non è in grado di preparare le persone a vivere nel presente e poi nel futuro. Ovvero i ragazzi non sanno come imparare. E lo si tocca con mano quando si tratta di effettuare una ricerca sul web, valutando la credibilità delle fonti o usare wikipedia come la nuova fonte certa di verità.
Con questo mi collego al secondo punto.
Il secondo punto interessante è il pensiero critico – critical thinking – di cui ho iniziato a occuparmi anche in riferimento all’uso delle tecnologie dell’insegnamento per la scuola del futuro. Mi fa piacere essere sulla strada giusta e non essere da solo.
Wikipedia sembra aver vinto la sua sfida; l’Enciclopedia Britannica cessa le pubblicazioni su carta per offrire solo più servizi online. E’ la fine di un mondo e la nascita di un altro. Ma non voglio dilungarmi in inutili commenti, rimpianti o profezie sul futuro della conoscenza.
Piuttosto mi interessa una infografica che illustra alcuni dati su Wikipedia e sul suo uso.
L’infografica è pubblicata sul sito open-site.org. Wikipedia, che ha nel suo DNA la scrittura e la revisione sociale delle conoscenze è gestita da circa 1.400 collaboratori che scrivono il 74% delle voci. Ma ciò che ha suscitato il mio interesse è il comportamento dei visitatori (studenti), che nel 56% dei casi non proseguono la ricerca, se non trovano abbastanza informazioni su Wikipedia. In sintesi, uno studente su due non è in grado o sceglie di non proseguire una ricerca se Wikipedia è incompleta.
Al di là delle considerazioni sulla veridicità e l’attendibilità delle voci dei Wikipedia, mi pare che in gioco ci sia un incrocio fra visibilità, valutazione della credibilità e comodità, il tutto alimentato dalla velocità del Web.
Wikipedia è credibile, quindi se manca una voce, allora ci sarà una buona ragione.
Se una voce non è visibile su Wikipedia, allora non esiste altrove.
Ma anche se esistesse altrove, non si sa come cercarla.
Wikipedia la si consulta ma non la si scrive.
Se questo è vero, mi pare una sconfitta rispetto alla visione democratica all’origine di Wikipedia: diffondere, incrementare e la conoscenza attraverso la scrittura condivisa e il controllo sociale delle voci. In fondo questa enciclopedia on-line non è fatta da tutti o da molti, ma da 1.400 persone e dal poco senso critico di molti.