vita vera in un negozio Apple

Ieri sono andato in un negozio della Apple per avere informazioni sull’iPad.

Raggiungo il tavolo elegante in stile Jobs su cui sono esposti ordinatamente sei iPad che i clienti possono provare. Gli iPad in visione sono intervallati da iPad con le informazioni tecniche e i prezzi dei modelli. Molte efficiente, esperienziale e user friendly.

Non ho proprio voglia di comprarne uno ma sono curioso. Mi sembrano degli iPhone allargati con il pregio della tastiera grande. Quindi scrivere è meno problematico. Molte app che sull’iPhone restano inutilizzate sull’iPad hanno senso.

Ho un dubbio sui formati ebook che l’iPad può leggere. Non è proprio un dubbio perché so che vede gli upub ma ho voglia di parlare con un commesso. Chiedo alla commessa più vicina se con iPad è possibile usare file epub. La ragazza dotata di divisa e iPhone d’ordinanza mi risponde sicura “Glielo dico subito. Andiamo a vedere sull’iPad”. Ma io già so che non troverà nulla. E’  politica della Apple non far trasparire queste informazioni, che confondono il cliente il quale vuole solo “fare click e inviare la foto alla fidanzata”. Ma la lascio fare. La ragazza invia il ditino sicuro verso l’iconcina dello scaffale marrone della libreria, che sfiora il menù a tendina ma poi resta sospeso a qualche millimetro dallo schermo, improvvisamente senza destinazione, inquieto. La gestrice del grazioso ditino scopre turbata che il menù user friendly mostra solo “PDF”. Le altre voci sono “Libri” e “Libri acquistati”, se non ricordo male. Comunque di tipi di file non se ne parla. Fra l’altro traspare anche una notevole incoerenza logica dovuta alla volontà commerciale della Apple.

Vabbé, mi dico, la ragazza è alle prima giornata di lavoro e non sa molte cose. Infatti la vedo andare cinquettando verso due colleghi: uno sarà l’esperto e l’altro quello cordiale. Si agitano – uno farfuglia formato epad – ma vogliono rassicurarmi che non c’è problema. Quello esperto si avvicina con fare sicuro e afferma “So che ci sono diversi formati perché ho il Kindle. Ora controlliamo”. Da professionista afferra l’iPhone di ordinanza e dopo aver disattivato il Wifi ed essere passato alla rete telefonica, danzando con le dita virili sullo schermo, fa una ricerca con Google. Scorre la prima pagina e mi rassicura che il potente iPad legge anche il formato epub. “Perché il Kindle vede solo il proprio formato che non è epub”, dico io. “E già”, risponde lui sorridente e tranquillizante.

Esco dal negozio quieto: se avevo dei dubbi ora sono certo che non comprerò mai un iPad; sono dispiaciuto di usare un iPhone e mi chiedo quale formazione dia la Apple ai propri dipendenti, fra le altre cose.

italia innovativa e Kant

Se c’è una capacità innovativa in Italia, è nel trovare ragioni sempre più originali e infondate per non innovare. Riporto la citazione e la pagina di Mario Rotta da cuoi l’ho presa:

Gli editori avrebbero affermato che “l’accelerazione sui libri digitali non poggiava su alcuna seria e documentata validazione di carattere pedagogico e culturale, così come non sono state valutate le possibili ricadute sulla salute di bambini e adolescenti esposti a un uso massiccio di apparecchiature tecnologiche”, e il ministro avrebbe detto “fermiamo tutto, l’accelerazione impressa all’introduzione dei libri digitali è stata eccessiva, voglio prendere in mano la questione ed esaminarla a fondo. Deponete le armi”.

Le ricadute degli ebook sulla salute dei bambini? Vorrei citare Kant ne Risposta alla domanda che cos’è l’Illuminismo? Evidenzione mia.

Pigrizia e viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da lungo tempo liberati dall’altrui guida (naturaliter maiorennes), rimangono tuttavia volentieri minorenni a vita; e per cui riesce tanto facile agli altri erigersi a loro tutori. E’ così comodo essere minorenni! Se ho un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che valuta la dieta per me, ecc., non ho certo bisogno di sforzarmi da me. Non ho bisogno di pensare, se sono in grado di pagare: altri si assumeranno questa fastidiosa occupazione al mio posto. A far sì che la stragrande maggioranza degli uomini (e fra questi tutto il gentil sesso) ritenga il passaggio allo stato di maggiorità, oltreché difficile, anche molto pericoloso, si preoccupano già quei tutori che si sono assunti con tanta benevolenza l’alta sorveglianza sopra costoro. Dopo averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici e aver accuratamente impedito che queste placide creature osassero muovere un passo fuori dal girello da bambini in cui le hanno imprigionate, in un secondo tempo descrivono ad esse il pericolo che le minaccia qualora tentassero di camminare da sole. Ora, tale pericolo non è poi così grande, poiché, a prezzo di qualche caduta, essi alla fine imparerebbero a camminare: ma un esempio di questo tipo provoca comunque spavento e, di solito, distoglie da ogni ulteriore tentativo.

corsi per tante persone di tante parti del mondo

Ho partecipato a un corso MOOC organizzato da Coursera sulla storia di internet. L’esperienza è stata coinvolgente e interessante.

Ora apprendo da un tweet di Eleonora Pantò di un articolo del New York Times che descrive il fenomeno riportando che i MOOC sono in crescita. Questi tipo di corsi sono diversi dagli open courseware delle università o dai filmati su Khan, perché sono pensati come veri e propri corsi universitari destinati appositamente a una grande quantità di persone di tutto il mondo, con esercitazioni, test, hangout su Google. Non sono solo i video di lezioni dal vivo.

Certamente pongono dei problemi: copiare è facile; i professori devono eliminare l’interazione con gli studenti, data la massa dei partecipanti. Nondimeno i docenti mettono a disposizione documenti di qualità; i corsi sono strutturati rigorosamente; partecipanti di stesse zone geografiche si incontrano anche nella vita reale. Il New York Times si lancia in un paragone con i social network tipo Facebook per il social mood che li anima.

Il corso che ho frequentato, inoltre, mi ha permesso di fare un’esperienza importante per il mio mestiere di docente: la peer review. Per sopperire alle difficoltà legate alla correzione di alcune prove si ricorre alla peer review, che risulta essere rigorosa quanto quella dei docenti universitari. Esperienza importante perché leggere per correggere, senza risultare offensivo, dei testi scritti da sconosciuti che abitano in chissà quale parte del mondo, è molto impegnativo. Si impara una forma di rigoroso rispetto educativo che la tradizionale lezione in aula uccide.

Detto ciò, taccio sul panorama dell’educazione online in Italia.

certe affermazioni

Certe affermazioni mi lasciano senza parole. E credo che questo disorientamento sia capitato a tutti nella vita almeno una volta. La scuola è spesso citata per una certa arretratezze e parlando con persone che lavorano in altri ambienti noto la differenza. Ne soffro ma cerco di tirare avanti rubando argomenti e idee da riproporre in caso di discussioni o da usare nei momenti di maggior sconforto.

Capita, tuttavia, di sentire affermazioni cui non so cosa rispondere, ma che illuminano atteggiamenti altrimenti incomprensibili. Una volta una collega mi ha detto:

“Non vado su Facebook perché è inutile”

Non nel senso che è inutile che lei vada su Facebook perché non trova ciò che lei vorrebbe. Non era un’affermazione su di sé. Il significato è “Facebook è inutile, quindi non ci vado”. Era un giudizio sul mondo.

Sono rimasto senza parole. Ho abbozzato una frase del tipo Un fenomeno che coinvolge centinaia di milioni di persone… ma non era una risposta adeguata. In fondo quante cose prive di utilità hanno fatto, fanno e faranno gli uomini e le donne? Tante quante sono i post che quotidinamente un miliardo di persone lancia su Facebook.

Era una affermazione a suo modo nuova. Ho sentito che Facebook è immorale, pericoloso, sfogatoio di persone socialmente problematiche. Ma inutile mai. Agli occhi di questa persona i cinesi che vorrebbero accedere al social network non di stato e libero sono incomprensibili; le donne dei paesi arabi che postano messaggi sono delle illuse. Ma anche io che spedisco link, commenti e fotografie con gli amici sono irretito in una specie di velo di Maya.

Questo non mi turba troppo. Quello che mi chiedo è un’altra cosa: che giudizio dà questa persona degli studenti, il 99% dei quali ha un account Facebook?

domande che qui non ci facciamo

Si discute della mortalità scolastica, delle nefandezze degli studenti e della precarietà di molti docenti. Alcuni avventurosi chiedono se la “rivoluzione digitale” sia tutta nelle pagelle elettroniche. Le aule con le LIM restano inutilizzate in attesa della macerazione. Le case editrici spacciano per e-books la versione PDF dei libri cartacei o se producono qualcosa di originale lo vincolano a software proprietari che contraddicono qualsiasi progetto a lunga scadenza e così dimostrano la totale ignoranza della rivoluzione culturale e tecnica in corso.

Poi ci sono le domande che nella scuola italiana non sono formulate. Fortunatamente in altri luoghi dell’universo persone sagge e intelligenti le pongono e cercano delle risposte. Per esempio un articolo di Mashable chiede: quali sono i college più social? Una infografica che segnala quantità di follower, like e altre cose su Facebook, Twitter, Pinterest, Klout, Youtube, Google+. Ai primi tre posti troviamo: Stanford, Harvard, Luisiana State University. Per illuminare la profondità del fenomeno basta ricordare che Harvard è una delle università i testa nell’erogazione di corsi MOOC ma anche Stanford non è da meno.

Non so che altro dire. Forse che se esperienza e laurea fossero esportabili, penserei a cambiare luogo d’insegnamento.

Apple ha inventato qualcosa?

Quando è morto, Steve Jobs è stato descritto come un rivoluzionario che ha forgiato i computer, internet. Non credo che questa descrizione di Jobs sia del tutto vera. Il filmato di due giornalisti e tecnici americani mostra che tutti i prodotti per cui la Apple è stata definita come “innovatrice”, “rivoluzionaria”, “visionaria” erano stati costruiti e pensati da altri prima.

La tesi sostenuta nel filmato è che la Apple, ovvero Jobs, ha raccolto cose esistenti a cui ha aggiunto dell’aglio – garlic – ma senza innovare veramente. L’uso dei prodotti raccolti poteva essere più o meno concordato con i produttori.

Credo che sia interessante ascoltare questo filmato dopo la sentenza Apple – Samsung.