Categoria: città
scene di ordinaria violenza quotidiana
Città: Venezia.
Luogo: pensilina di attesa dei vaporetti.
Giorno e ora: 17 giugno 2017, ore 11.30 circa.
Persone coinvolte: madre, figlio e anziano signore, forse amico di famiglia.
Madre: “E’ stato promosso!”
Anziano: “E’ stato anche promosso! Scommetto con tutti 6!” (Correzione del 21/6/2017: non “anche” ma “addirittura”.
Bambino, arrabbiato con le braccia incrociate: “Ho preso dei sette, otto e un nove!”
Dopo qualche minuto, il bambino ha smesso di esprimersi a parole e si rivolge all’anziano solo a gesti, con un codice che mette in difficoltà l’anziano.
Mie riflessioni: perché umiliare un bambino? Perché la madre non lo ha difeso?
La violenza subita può essere una delle regioni per cui si sviluppa un codice comunicativo proprio che isola anziché mettere in relazione?
Comunque, i bambini sanno rispondere.
Venezia: biennale e ritorno







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17 giugno 2017












viaggiare in autobus
Oggi a mezzogiorno ho preso l’autobus. Faceva caldo, siamo in estate, c’è un sole violento e accecante. Le persone mi paiono nauseate dal caldo e dall’aria densa.
La suadente voce automatica del bus comunica il nome della fermata successiva. Si sente una musica da cellulare accendersi e spegnersi a caso. A una fermata sale una ragazza grassa dicendo a voce alta “Non è possibile”. Si siede e sbatte in terra un sacchetto di plastica da cui si intravedono delle bretelle marroncine di pantaloni da sci. Qualcuno parla.
La ragazza protesta. E’ vestita di nero e ha i leggins. Parla rabbiosamente e sottovoce. Ha un dialogo interiore sconnesso che forse risale a una scelta o un episodio che l’ha staccata dalla vita. Chissà quando e chissà come. Ogni tanto si alza per inveire contro una donna seduta poco avanti. La donna non risponde. La ragazza sembra arrabbiata per il cellulare della donna.
La voce automatica a caso interviene. Alcuni telefoni squillano.
Quando scende dal bus, la ragazza insulta dal marciapiede la donna sul bus.