Può avere vari nomi: homeschooling, istruzione parentale, unschooling; è una modalità prevista dalla legislazione italiana vigente, dal sito del Ministero. Il principio animatore è lasciare libertà a bambini e ragazzi che, privi delle costrizioni fisiche, psicologiche e culturali insite nelle aule scolastiche, sono nella condizioni ideali per apprendere realmente e fruttuosamente.
Le famiglie, anziché iscrivere i propri figli in una scuola, fidandosi della professionalità di laureati che hanno sostenuto corsi ed esami specifici per poi entrare nelle aule e mettere alla prova dell’esperienza le conoscenze acquisite, possono istruire i propri figli autonomamente a casa. L’arco di volta della domanda di istruzione parentale è espressa dall’articolo 111, comma 2 del Decreto legislativo 16 aprile 1994, n.297, nel quale sono definiti gli obblighi dei genitori:
I genitori dell’obbligato o chi ne fa le veci che intendano provvedere privatamente o direttamente all’istruzione dell’obbligato devono dimostrare di averne la capacità tecnica od economica e darne comunicazione anno per anno alla competente autorità.
La “capacità tecnica od economica” si traduce nell’accertare se i genitori sono diplomati e capaci di una certa autonomia economica. Quindi un diploma di almeno un genitore equivale a un gruppo di laureati con esperienza talvolta decennale nella propria disciplina.
La domanda che mi pongo è come possa l’unione fra relazione genitoriale e libertà di esplorare in modo personale compensare lauree, esperienza, conoscenze.
In altri termini, mi pare una stortura capace di vanificare competenza e professionalità per cui per insegnare basta avere un diploma di scuola superiore di secondo grado purché si sia genitori.
Il trionfo del familismo particolaristico.