Da giorni cerco di formulare una domanda che riguarda l’insegnamento della filosofia nelle scuole superiori. Cerco di scriverla con chiarezza.
In questi anni la vita pubblica italiana è stata progressivamente invasa da alcuni comportamenti che si è pensato si sarebbero ridotti o indeboliti con l’educazione e l’apprendimento: linguaggio violento, odio tribale, disprezzo per la scienza e la conoscenza in generale, deresponsabilizzazione, dismissione della responsabilità individuale, sordità emotiva.
E’ vero che la formazione scolastica non è l’unico garante della qualità della vita pubblica poiché questa è influenzata dall’andamento economico, dall’occupazione, dai media, dalla politica interna ed estera, da tradizioni. Inoltre vi è l’impatto dei social e delle distorsioni informative. Perciò non sovrastimo l’impatto sulle abitudini degli studenti e delle studentesse delle 4 ore settimanali in cui io, come altri colleghi, insegniamo filosofia e storia.
Quindi nessuna illusione. Allo stesso tempo è vero che ciò che accade in quelle 4 ore settimanali non è privo di effetti, alle volte duraturi. Il problema è quali. E da qui la mia domanda.
Cosa si è fatto, o non fatto, nell’insegnamento della filosofia e di storia che non ha ridotto o frenato l’astio sociale, l’odio per la conoscenza, lo scetticismo fanatico, il congelamento delle emozioni, la derisione dell’empatia?
Poi c’è una versione più sgradevole della domanda: è possibile che ci sia stato qualcosa che anziché sfavorire abbia favorito, nel suo piccolo, la situazione attuale?