Come noi e nostra madre Dana, tessiamo e disfiamo il tessuto dei nostri corpi, di giorno in giorno, disse Stephen, e le loro molecole vanno avanti e indietro come una spola, così l’artista tesse e disfa la propria immagine. E come il neo sulla mia mammella destra è là dov’era quando sono nato, nonostante che tutto il mio corpo sia stato tessuto con una nuova stoffa, così attraverso lo spettro di un padre inquieto spunta la figura del figlio non ancora nato. Nell’intenso istante dell’immaginazione, quando la mente è un carbone che sta per spegnersi, dice Shelley, ciò che io ero è ciò che io sono e ciò che è in potenza è ciò che posso essere. Così nell’avvenire, che è il fratello del passato, può darsi ch’io mi veda così come siedo ora qui, ma per effetto d’un riflesso di ciò che allora sarò.
J. Joyce, Ulisse, Einaudi, Torino, 2013, pag. 267 – 268, traduzione di Gianni Celati.