A 17 anni avevo nostalgia della West Coast: la California, gli hippy e i viaggi in moto coast to coast. Easy Rider era il sogno della mia vita. Non ero mai stato in California e non ero mai salito su una moto. Insomma avevo nostalgia di qualcosa che non conoscevo ma avevo una giacca in pelle con le frange e lunghi capelli sulle spalle.
Tale era la forza di questa immaginazione che neanche sapevo chi fossero i Grateful Dead o i Jefferson Airplane: ma ero innamorato di un sogno di libertà e poi in Easy Rider gli uomini incontravano donne disponibili e amorose. Ma quando si è giovani è strano. Poi iniziai a fare teatro e conobbi Alberto Negro regista e attore. Lui aveva conosciuto quel mondo. Aveva addirittura partecipato con The Human Family a un happening dei Pink Floyd al Cosmic Relaxation Center Paradiso ad Amsterdam! Il gioco era fatto: teatro e sogno di libertà. Che cosa si vuole di più a 17 anni? Ebbero inizio un paio d’anni che mi sembrarono sempre primavera: viaggi in pulmino con Alberto, Antonella e il loro cane Cucciolo per montare spettacoli, fare prove. Si parlava di teatro, di arte, di vita, di musica.
A un certo momento Alberto mi prestò Live/Dead dei Grateful Dead. Un disco misterioso dalla copertina rossa, una donna sopra una bara. Lo ascoltai sul mio vecchio giradischi e fui catturato dall’intreccio caldo e lento del basso e della chitarra in Dark Star. La tessitura apparentemente casuale di basso e chitarra formava fasci e onde sonore che improvvisamente si coagulavano in un ritmo da ballo. Mi parve la formazione del mondo dal suono. Come se la realtà fosse un addensamento casuale di toni. Seguiva il disfacimento della musica sulle parole del canto – Dark star crashes pouring its light into ashes … shall we go you and I while we can through the transitive nightfall of diamonds… the Lady in velvet… mirror shatters in formless reflection of matter – che mi conquistò per la vita. Quella canzone conteneva vita, morte e rinascita. Anni dopo ascoltai una intervista in cui Phil Lesh sosteneva che Dark Star era la dimostrazione che il mondo può disgregarsi ma poi riacquista forma. La musica di Dark Star è questa esperienza di dissoluzione e di ricomposizione. Restituii il disco ad Alberto dopo qualche ascolto. Desidero ringraziarlo ora, anche se non è più fra noi.
Poi passarono gli anni, non frequentai più Alberto, Antonella e il loro cane cucciolo. Ci furono altre primavere a cui seguirono estati, autunni e inverni. Un paio di decenni dopo comprai il CD di Live/Dead. Nel frattempo avevo scoperto http://www.archive.org e la sezione dedicata ai Grateful Dead. Ho ascoltato molte versioni di Dark Star. Alcune lunghe altre brevi. Ne ascoltai una di 3 minuti e una lunga che seguiva tessiture sonore del tutto diverse, senza parole e che poneva al centro un rock ‘n roll stile Elvis.
Nel frattempo ho imparato che la vita di Dark Star inizia come canzone di 3 minuti di un 45 giri che “affondò come una pietra” ma nelle esibizioni dal vivo dei Grateful Dead si estese, si approfondì fino a diventare il momento chiave dei concerti. Non ho ancora capito il segreto di questa canzone. Per me ha a che fare con il disfacimento e la ricostruzione, con il perdersi e il ritrovarsi. Skaggs afferma che ha a che fare con il passaggio dall’infanzia alla maturità ma lo afferma dopo aver individuato la serie di riferimenti alla teoria del Big Bang, alla caduta delle certezze. Insomma è una canzone a molti strati. Come tutte le opere d’arte degne di questo nome.
In conclusione due cose:
- un capolavoro può nascere da un fallimento commerciale. Prima riflessione: le cose, le idee devono trovare la loro strada.
- Non so dove e come sia Alberto ora. Ma vive non solo negli occhi del figlio e nei ricordi di chi lo ha conosciuto ma anche in quella canzone che intona il suono della morte e della rinascita.